videosorveglianza e legittimità telecamere

Videosorveglianza: legittimità delle telecamere nascoste nei luoghi di lavoro

Ha suscitato notevole clamore mediatico ed interesse la sentenza del 16 Ottobre u.s. con la quale la Corte di Strasburgo (Corte Europea dei diritti dell’uomo) ha sancito che la videosorveglianza disposta dal datore di lavoro, anche attraverso telecamere nascoste, non contrasta con la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
 
Nel caso in questione, il ricorso alla Corte era stato presentato da alcuni dipendenti di un supermercato secondo i quali, l’installazione di alcune telecamere da parte del datore per individuare i responsabili del furto di prodotti (avvisando i dipendenti solo dell’esistenza di alcune telecamere, nascondendone invece altre) era contraria alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. 
 
I giudici della Corte di Strasburgo hanno colto l’occasione per fissare i parametri per valutare se le misure di videosorveglianza disposte nei luoghi di lavoro siano proporzionali. 
Hanno infatti chiarito che i criteri fissati dalla Corte europea per il controllo delle e-mail sono applicabili anche alla videosorveglianza. Per completezza, segnaliamo che con la sentenza, n. 61496/08 del 12 gennaio 2016, la medesima Corte aveva ritenuto che -nel caso allora giudicato- vi fosse si stata una violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza), ma che il controllo del datore di lavoro delle sue comunicazioni nell’ambito di un procedimento disciplinare risultava comunque legittimo. 
 
Secondo i giudici, infatti, le autorità nazionali devono garantire un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco ossia
  • il rispetto della privacy e della dignità dei lavoratori, da un lato;
  • l’esigenza datoriale di proteggere i propri beni e assicurare il buon funzionamento dell’attività economica, soprattutto esercitando il proprio potere disciplinare,
Ed inoltre, nel caso giudicato, la mancata informazione preliminare ai dipendenti sull’installazione di alcune telecamere era giustificata dal sospetto di gravi irregolarità e perdite economiche per il datore di lavoro, circostanze che, ad avviso della Corte “possono essere considerate come giustificazioni serie” per una limitazione della privacy dei dipendenti.

La vigente normativa italiana

Riteniamo opportuno segnalare che la sentenza di Strasburgo in commento non incide sulla normativa italiana in materia di videocontrolli, possibili solo alle condizioni previste dall’articolo 4 della Legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) come modificato dal D. Lgs. n. 151/2015.
La vigente normativa consente infatti al datore di lavoro di installare impianti audiovisivi e altri strumenti da cui derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, purché questi strumenti siano impiegati solo per:
  • esigenze organizzative e produttive;
  • per la sicurezza del lavoro;
  • per la tutela del patrimonio aziendale

La loro installazione sia avvenuta previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di accordo, sia stata ottenuta l’autorizzazione preventiva da parte dell’Ispettorato del lavoro. 

Riflessi della sentenza – l’intervento del garante della Privacy

Proprio a seguito del risalto mediatico che ha avuto la pronuncia in commento, è intervenuto lo scorso 17 ottobre il Garante per la Privacy con un comunicato pubblicato sul proprio sito istituzionale, con il quale ha ammonito “La sorveglianza occulta non diventi prassi ordinaria. I controlli devono essere proporzionati e non eccedenti”.
 
Secondo il Garante infatti, “La sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo se da una parte giustifica, nel caso di specie, le telecamere nascoste, dall’altra conferma però il principio di proporzionalità come requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo.
L’installazione di telecamere nascoste sul luogo di lavoro è stata infatti ritenuta ammissibile dalla Corte solo perché, nel caso che le era stato sottoposto, ricorrevano determinati presupposti: vi erano fondati e ragionevoli sospetti di furti commessi dai lavoratori ai danni del patrimonio aziendale, l’area oggetto di ripresa (peraltro aperta al pubblico) era alquanto circoscritta, le videocamere erano state in funzione per un periodo temporale limitato, non era possibile ricorrere a mezzi alternativi e le immagini captate erano state utilizzate soltanto a fini di prova dei furti commessi.
La videosorveglianza occulta è, dunque, ammessa solo in quanto extrema ratio, a fronte di “gravi illeciti” e con modalità spazio-temporali tali da limitare al massimo l’incidenza del controllo sul lavoratore. Non può dunque diventare una prassi ordinaria.
Il requisito essenziale perché i controlli sul lavoro, anche quelli difensivi, siano legittimi resta dunque, per la Corte, la loro rigorosa proporzionalità e non eccedenza: capisaldi della disciplina di protezione dati la cui “funzione sociale” si conferma, anche sotto questo profilo, sempre più centrale perché capace di coniugare dignità e iniziativa economica, libertà e tecnica, garanzie e doveri“.

Iscriviti alla newsletter

Lascia i tuoi contatti

Ricevi regolarmente le newsletter sulle novità normative in materia di disciplina il lavoro dei diversi contratti nazionali.

     Acconsento al trattamento dei dati come da informativa sulla privacy.