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L’empatia sul lavoro: una rara, ma importante, virtù

empatia nei luoghi di lavoro

L’empatia sul lavoro: una rara, ma importante, virtù

Quanto migliorerebbe la tua vita lavorativa se migliorassi la capacità di percepire lo stato d’animo dei tuoi colleghi, mettendosi di conseguenza nei loro panni con la finalità  di comprendere al meglio differenti punti di vista e pensieri?

La chiave di tutto ciò ha un nome: Empatia

In questo articolo andremo ad approfondire questa virtù, troppo spesso sottovalutata, ma che ha in sé la possibilità di migliorare la qualità dei rapporti, soprattutto nell’ambito lavorativo. 

Grazie all’empatia si è in grado di entrare in sintonia con chi ci sta vicino, cogliendo i sentimenti altrui, fino a riconoscerli come propri. Se avverrà questo, si stabiliranno legami più consolidati con i colleghi e ci sarà un miglioramento della qualità relativa alle prestazioni lavorative. 

Quali sono le tipologie di empatia con le quali possiamo venire a contatto? 

I modi e le forme in cui si sviluppa l’empatia sono molteplici. Vediamoli insieme:

  • Empatia positiva: quella capacità di cogliere e condividere i sentimenti di gioia degli altri, tanto da essere contagiato;
  • Empatia negativa: rappresenta l’impossibilità di condivisione dei sentimenti con gli altri, soprattutto in situazioni in cui si scontrano con un’esperienza personale negativa, provando emozioni contrastanti di rabbia, paura o tristezza;
  • Empatia cognitiva: si descrive così l’abilità di comprendere il punto di vista dell’altro, focalizzandosi principalmente sulle opinioni e sul modo di ragionare piuttosto che sulle emozioni;
  • Empatia emozionale: l’attitudine di comprendere profondamente le emozioni e gli stati d’animo di un’altra persona; 
  • Empatia comportamentale: si tratta della comprensione e interpretazione di tutti i comportamenti dell’altro ed è basata sulla comunicazione interculturale, soprattutto sul modo di porsi nei confronti degli altri;
  • Empatia relazionale: è la capacità di identificare le relazioni che intercorrono tra le persone, rispetto alla sfera affettiva, quella sociale, gerarchia e gruppi. 

Quanto è importante sviluppare la cultura empatica? 

Saper creare una cultura empatica è fondamentale in azienda. Ma cosa significa questo? Esprime l’abitudine a relazionarsi con gli altri e con se stessi, a seconda dell’esistenza di valori e pratiche condivisi in tutta l’organizzazione. 

Una vera cultura dell’empatia si cementa quando le risorse in azienda sono empatiche. Diamo un’occhiata al funzionamento:

  1. allena l’empatia come un muscolo: è importante allenare abilità e abitudini per massimizzare la conversazione, l’osservazione e l’esperienza sensoriale, monitorando e tracciando tutto nel tempo per valutare il miglioramento;
  2. connettiti in modo coerente: nella tua vita privata collegati con persone simili al tuo target aziendale, che rispecchiano i modi di fare del tuo target. Questo ti aiuterà a comprendere al meglio come cambiano e si sviluppano i tipi di comportamenti e di emozioni.
  3. passa all’azione: le risorse devono mettersi in gioco, devono avere un pensiero aperto e capace di affrontare problemi reali e significativi.
  4. sviluppa un ecosistema dell’empatia: raccogli tutto quello che hai imparato e condividilo con le risorse interne. Organizza learning e canali di condivisione e dialogo, come i social aziendali, grazie ai quali sarà possibile organizzare tutto ciò che è stato appreso, ricevere feedback, collaborare e formare una conoscenza condivisa;

Empatia nel lavoro: benefici e vantaggi 

L’empatia in azienda può portare davvero tanti benefici alle risorse ma anche all’organizzazione stessa, perché contribuisce a generare opportunità e innovazione grazie alla condivisione dei vari punti di vista, migliorando sia i rapporti interni che quelli esterni. Se si lavora in ottica di legami solidi si aumenterà la produttività grazie alla comunicazione costante, ottenendo così un team affiatato e motivato. 

Comprendendo quindi, i sentimenti e le emozioni altrui, si avrà la capacità di comprendere bene il target di riferimento a cui rivolgere il proprio servizio/prodotto. Un utilizzo proficuo dell’empatia nel marketing permetterà di entrare in sintonia con il mercato, con le necessità e le emozioni dei clienti per garantire un’esperienza emotiva del tutto positiva. 

La capacità di connettersi empaticamente servirà a: 

  • saper gestire le conversazioni difficili: l’empatia aiuta a prendere parte a una conversazione delicata e difficile, aiutando a capire e rispettare le prospettive e i punti di vista dell’interlocutore, in modo da creare un dialogo significativo e costruttivo;
  • Valorizzare gli altri e farli crescere: mettendosi nei panni degli altri si comprenderanno al meglio le esigenze di sviluppo e di crescita. Se sei a capo di un team, l’empatia ti aiuterà nel comprendere i loro bisogni, le difficoltà e gli ostacoli che si trovano ad affrontare;
  • Mettere al centro il cliente: capendo le loro esigenze, risolvendo i problemi tenendo sempre presente il loro punto di vista. La centralità del cliente in tutte le fasi del lavoro aiuterà a immedesimarsi maggiormente con lo stesso, imparando a pensare fuori dagli schemi per trovare soluzioni innovative;
  • Gestire al meglio le trattative e le vendite: riuscire a comprendere una situazione in cui il cliente è propenso all’acquisto è essenziale per una trattativa di vendita. Il segreto sta nel mettersi nei suoi panni, sondare il terreno comprendendo cosa vuole davvero. Bisognerà creare un rapporto di fiducia;
  • Creare inclusione e un clima positivo: le persone empatiche sul lavoro coltivano le opportunità derivanti dalla diversità degli individui, includendo gli altri per farli sentire accettati e parte integrante dell’organizzazione;
  • Comprendere le dinamiche implicite dell’azienda: l’empatia favorisce l’interpretazione di situazioni interne ed esterne all’azienda. Le persone empatiche riescono a capire le influenze, le regole implicite che esistono in ogni contesto aziendale perché sanno essere empatici non solo a livello interpersonale ma anche di team e di organizzazione. 
Leader empatico in azienda: grande valore aggiunto 

In quest’ultima parte del blog approfondiamo una figura che tutte le aziende dovrebbero avere o riconoscere al proprio interno: il leader empatico. A supporto di ciò, studi focalizzati sull’empatia cognitiva hanno dimostrato quanto segue: (Fonte: https://www.gqitalia.it/lifestyle/article/empatia-lavoro-importanza-strategia). 

  1. L’empatia è in grado di stimolare innovazione e coinvolgimento: tutte quelle risorse che vengono seguite da un leader empatico hanno dichiarato di essere più creative e coinvolte rispetto a coloro che hanno un leader meno empatico: rispettivamente 61% e 13%;
  2. Riduzione del burnout: dallo studio è emerso che 6 intervistati su 10 soffrono di burnout dovuto al lavoro. in questo caso un leader empatico può fare la differenza, infatti il 67% ha confermato che questa condizione riduce gli effetti dello stress sul lavoro;
  3. Con un leader empatico si crea un ambiente di lavoro inclusivo: un luogo in cui si lavora con il sorriso fa venire voglia di fare sempre di più. Infatti, il 50% degli intervistati ha dichiarato di avere un luogo di lavoro inclusivo poiché hanno un leader empatico, al contrario del 17% che hanno una leadership non empatica;
  4. Diminuzione del turnover: se un leader riesce a creare un ambiente di lavoro solidale e inclusivo, i dipendenti potrebbero investire a loro volta nell’azienda;
  5. Miglioramento della “Work-life balance: l’86% degli intervistati ha confermato che l’avere una persona empatica come leader permette di conciliare al meglio la vita professionale con quella privata. 

Essere un leader empatico significa comprendere i propri collaboratori, capendo le situazioni critiche riuscendo così a trovare le soluzioni più adatte. 

E tu, ti reputi un leader empatico?

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“Quiet Firing”: il licenziamento silenzioso

il licenziamento silenzioso

“Quiet Firing”: il licenziamento silenzioso

Quale avvenimento può spaventare ogni lavoratore che si rispetti? Il licenziamento, soprattutto qualora avvenisse in maniera silenziosa, quasi da trasformarlo in dimissioni volontarie. 

Se ti stessi chiedendo di cosa si tratta, con questo articolo andremo ad approfondire la tematica centrale, ossia il licenziamento silenzioso, denominato anche “quiet firing”. 

Ma cosa sta a simboleggiare il termine “quiet firing”? Questo è un termine che rappresenta il momento in cui il datore di lavoro crea delle condizioni lavorative non ideali, escludendo il lavoratore da riunioni, eventi, isolandolo completamente in modo che lo stesso sia portato a presentare le dimissioni per sua volontà.

Queste sono il risultato di azioni mirate ad evidenziare esclusivamente gli aspetti negativi dell’attività lavorativa, rispetto ad una sicuramente più proficua collaborazione in merito alle strategie lavorative e aziendali. 

Come capire se ti vogliono licenziare? 

Anche se la strategia del quiet firing viene definita come silenziosa, ci sono alcuni piccoli ma importanti segnali che non bisogna trascurare. Vediamone alcuni insieme:

  • Nessuna promozione in vista: il mancato avanzamento di carriera è comune tra i lavoratori che hanno subito il quiet firing, a confronto, invece, di loro colleghi che procedono con il loro percorso di crescita;
  • Aumenti negati: nel momento in cui vengono rimandati incontri utili a discutere della propria posizione, o ancora, promesse che non vengono mai rispettate. Tutto questo porta il collaboratore alla ricerca di una nuova strada che gli permetta di ottenere, tra le altre cose, una retribuzione più soddisfacente;
  • Assegnazione di compiti banali e/o insignificanti;
  • Burocrazia in aumento: si tratta di quella fase nella quale c’è un evidente aumento di attività ricche di burocrazia che aumentano passaggi per lo più inutili limitando le responsabilità principali. 
  • Nessuna ricezione di feedback: momento nel quale non c’è nessun ritorno sulle attività portate a termine nella maniera corretta con conseguente generazione di un silenzio anomalo. Inoltre, è possibile notare la mancanza di riconoscimento su quanto di positivo svolto. 
  • Esclusione da eventi aziendali, cene, riunioni. 

Prestare attenzione a questi segnali, ti permetterà di sfuggire all’essere licenziato silenziosamente, cercando di prendere in mano la situazione ed evitare il peggio: ossia dimetterti. 

Quiet firing: quali sono le motivazioni? E gli effetti che causa? 

Tra le motivazioni più importanti del licenziamento silenzioso troviamo la scarsa comunicazione. Questo accade nei momenti in cui per evitare qualunque tipologia di conflitto, non c’è comunicazione con i collaboratori per la risoluzione di problematiche, ma viene reso tutto più difficile ottenendo anche in questo caso il risultato delle dimissioni. 

Non ultima, anche una cattiva gestione della risorsa potrebbe portare al quiet firing, in questo caso mancanza di feedback o disorganizzazione rispetto alle attività lavorative hanno un ruolo determinante. 

Questa strategia danneggia il collaboratore e porta a situazioni che riportiamo qui di seguito:

  • Calo del morale;
  • Diminuzione della collaborazione nel team;
  • Turnover;
  • Mancata espressione del pieno potenziale da parte del collaboratore. 

Evitare il quiet firing è possibile: scopriamo come

La chiave per evitare il quiet firing sta nella comunicazione. Il confronto continuo tra collaboratori e manager, aiuta sicuramente a monitorare i segnali che sommati nel tempo possano portare alle situazioni sopra descritte. 

Se viceversa, nonostante l’ottima comunicazione le dimissioni dovessero presentarsi comunque, bisognerà all’interno della struttura avere chiare le motivazioni che hanno portato a questo, in modo da farne tesoro per il futuro. 

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Problem solving: risolvere i problemi in modo efficace

capacità di problem solving in azienda

Problem solving: risolvere i problemi in modo efficace

Quante volte all’interno della nostra giornata lavorativa ci troviamo di fronte a problematiche che pensiamo siano ingestibili o, addirittura, irrisolvibili? 

La risposta più comune è sicuramente: Spesso 

Ed è proprio da questo punto che partiamo, per approfondire la tematica centrale di questo articolo, ossia la propensione e la capacità di ogni individuo nel trovare soluzioni e strade alternative per far fronte alle difficoltà e di conseguenza risolverle.  

Tutto questo, ai giorni nostri, è racchiuso nel concetto più comunemente conosciuto con il nome di “Problem Solving”.  

Non esiste una capacità di problem solving definita, ma sicuramente l’attuazione di alcuni comportamenti, come ad esempio la definizione e la condivisione di obiettivi, possono aiutare sia la risoluzione dei problemi che, al contempo, il raggiungimento degli obiettivi aziendali.  

A ogni problema la sua possibile soluzione  

All’interno di ogni azienda, nel corso dell’anno, sorgono una serie di criticità che necessitano di una risoluzione. Ne abbiamo identificato una selezione, cercando di analizzarle e di fornire quella che potrebbe essere una soluzione adeguata.  

  1. Problemi che richiedono un intervento immediato: in questo caso si ha bisogno di un riscontro rapido. Troviamo questa casistica soprattutto nelle aziende di produzione, all’interno delle quali le problematiche riguardano soprattutto macchinari; 
  2. Problemi che riguardano una performance negativa, contraria a uno standard di performance predefinito: in questi casi si deve intervenire utilizzando un pensiero di tipo critico/logico che permette di analizzare con chiarezza cosa non sta funzionando come deve. Per questo si ha bisogno di competenze specifiche dell’area in cui si registra il problema. Dopo aver individuato il modo nel quale intervenire, diventa fondamentale il monitoraggio della performance affinché tutto rientri nei parametri;  
  3. Problemi che si evidenziano nel momento in cui si ha bisogno di raggiungere un livello di performance più elevato rispetto all’attuale: in questo caso, diventa fondamentale la capacità di sfruttare quello che conosciamo come pensiero creativo, attraverso il quale si può arrivare ad una soluzione alternativa rispetto a procedure consolidate;   
  4. Problemi che sorgono nel momento in cui si cambia il business aziendale: in questo caso sarebbe corretto optare per la tipologia di problem solving strategica, nella quale il team deve dimostrare l’essere in grado di fondere tutti i tipi di pensiero fino a qui citati: logico, critico, creativo, ai quali aggiungiamo la capacità di ragionare in maniera sistemica.  

Come risolvere i problemi? Adottando efficaci tecniche di problem solving.  

Un individuo con ottima propensione al problem solving è colui capace di sviluppare delle competenze trasversali adottando delle tecniche che aiutino nel raggiungimento dell’obiettivo prefissato.  

Ma quali sono le fasi da seguire con esattezza? 

  1. Definizione del problema: individuare e descrivere il problema partendo dal nocciolo della questione. Questo si può sviluppare con l’aiuto di domande che raggruppano i diversi punti di vista di tutti i coinvolti, ad esempio: 
    1. Qual è il problema?
    2. Perché si deve risolvere?
    3. Dov’è stato riscontrato il problema?
    4. Chi ne è testimone?
    5. Com’è successo? 
  2. Analizzare e scomporre il problema: nel momento in cui si è individuata la problematica, la si analizza affinché si possano trovare soluzioni efficaci, pensando fuori dagli schemi e puntando a situazioni durature e stabili; 
  3. Comprendere le esigenze delle persone coinvolte grazie all’empatia che permette di gestire tutti i conflitti;
  4. Ricerca delle possibili cause: effettuando un brainstorming si raccoglieranno tutte le cause possibili del problema, che successivamente si andranno a raggruppare in una sorta di diagramma utile alla risoluzione del problema; 
  5. Scegliere la soluzione migliore: una volta trovata, bisogna adattarla e condividerla con tutte le risorse coinvolte in modo da poter intervenire rapidamente. In questa fase, è importante misurare l’effettiva efficacia della soluzione così da comprendere il prima possibile la risoluzione del problema. È utile, quindi, adottare un monitoraggio continuo che vada ad indicare l’impatto di ogni soluzione adottata migliorando così tutto ciò che non funziona. 

Come identificare le competenze di problem solving? 

Le risorse che hanno la capacità di analisi e problem solving, detti anche ideatori di soluzioni sono persone che hanno delle caratteristiche inconfondibili e che si distinguono dalla massa aziendale. Vediamole insieme: 

  1. Capacità di ascolto: saper ascoltare è fondamentale per poter identificare un problema e risalire alla sua origine.  
  2. Capacità di analisi: analizzare il problema è uno dei primi passi per poter formulare una giusta ipotesi per trovare soluzioni e vie alternative che raggiungano l’obiettivo.  
  3. Capacità di valutazione: è importante riuscire a guardare un problema sotto diversi punti di vista e prospettive, scegliendo così la via migliore per risolverlo.  
  4. Capacità di prendere decisioni: è fondamentale saper formulare e impostare un piano in cui attuare la soluzione scelta e desiderata, capacità detta anche decision making.
  5. Capacità di gestire lo stress: gestire le situazioni difficili, senza andare nel panico. 
  6. Capacità di concentrarsi sulla soluzione.  
Problem solver in azienda: Come può aiutare internamente? 

Hai mai sentito parlare di questa figura?  

Il problem solver si occupa di risolvere tutti i problemi aziendali in modo efficace e proattivo, grazie alla sua attitudine al problem solving e al suo distacco nelle situazioni che gli permette di trovare una soluzione in modo oggettivo e senza farsi condizionare. È una figura strategica perché, grazie al suo modo di fare, riesce a mantenere alta la produttività nei momenti difficili.  

Vediamo insieme alcune delle caratteristiche che rendono il problem solver così importante: 

  • Buone capacità comunicative; 
  • Atteggiamento proattivo: comportamento che gli consente di agire in anticipo ed evitare il problema; 
  • Ascolto attivo: ascoltare tutti coloro che potrebbero presentare una determinata problematica; 
  • Positività: convinzione di poter risolvere qualsiasi ostacolo, atteggiamento positivo di fronte ai problemi; 
  • Elasticità e flessibilità: capacità di adattarsi alle diverse situazioni riuscendo a considerare diversi punti di vista; 
  • Pazienza: è importante saperla gestire soprattutto in quelle situazioni in cui si deve lavorare con persone scontente e frustate per la problematica; 
  • Team working: capacità di lavorare in autonomia ma anche in gruppo; 
  • Gestire lo stress anche di fronte a imprevisti; 
  • Far fronte a difficoltà di ogni genere: si collega all’elasticità di sapersi adattare alle diverse situazioni e avere una visione panoramica per qualsiasi situazione; 
  • Pensiero laterale: considerare ogni singolo elemento, anche le valutazioni più scontate e minuziose.  
  • Abilità sociali: in azienda è importante per poter gestire situazioni complicate, persone scontente avendo delicatezza nel rapportarsi con esse, sempre con professionalità.  
Come approcciarsi alla cultura del problem solving? 

Se non si generano prima dei cambiamenti interni è difficile sviluppare, di conseguenza, una buona cultura di problem solving, per questo è importante stabilire, fin da subito: 

  • Gli scopi principali per l’implementazione del problem solving; 
  • In quale area sperimentare la cultura del problem solving; 
  • Definire il perimetro all’interno del quale effettuare una “first trial”; 
  • Assicurarsi di essere in possesso di una griglia di obiettivi, i quali siano assegnati ai collaboratori di un’area specifica e con un sistema di monitoraggio dei trend aggiornato; 
  • Adottare dei moduli formativi di problem solving che si approcciano al meglio alla situazione dell’azienda; 
  • Organizzare dei workshop all’interno del quale si formeranno dei facilitatori che andranno, a loro volta, a formare i collaboratori dell’azienda sulla propensione al problem solving;
  • Monitorare tutti i risultati del primo trial e, se ha ottenuto successo, valutare il deployment dello stesso nelle aree restanti dell’azienda.  

In un contesto lavorativo è molto importante sviluppare la cultura del problem solving perché le risorse potranno migliorare non solo i loro standard lavorativi, ma riusciranno anche in concreto a risolvere una situazione di conflitto raggiungendo gli obiettivi aziendali desiderati.  

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Hustle Culture vs Quiet Quitting: straordinari si o straordinari no?

hustle culture vs quiet quitting

Hustle Culture vs Quiet Quitting: straordinari si o straordinari no?

Quante volte ti sei fermato in ufficio per finire un progetto? Quante volte hai detto di no ad una cena fra amici perché dovevi lavorare? 

Questo fenomeno si chiama “Hustle Culture” (o anche detto stacanovismo) ossia lavorare senza sosta per poter ambire ad avere sempre di più, dove il lavoro diventa la parte più importante della propria vita. È quella corsa frenetica verso il successo, mettendo la carriera avanti a tutto e tutti, senza lasciare spazio alla vita personale, al tempo libero e alla salute mentale.  

A volte è un comportamento involontario perché appunto si tende a voler portare a termine dei progetti, rispettare le scadenze, non dando peso alla vita privata ed entrando in un loop da dove è difficile uscirne. 

Per chi segue questa filosofia è importante seguire alcuni valori, per loro fondamentali. Vediamo insieme quali sono: 

  • La vita personale ho meno valore del lavoro che è la parte più importante; 
  • Si considerano come “perdenti” coloro che non dedicano la loro vita al lavoro; 
  • L’ambizione lavorativa è messa prima della realizzazione personale; 
  • Lavorare più del dovuto viene considerato un mezzo per ottenere riconoscimenti in termini di eroismo di fronte alla società; 
  • La vita privata non deve assolutamente interferire con il lavoro; 
  • Tutto ciò che viene considerato come una distrazione dal lavoro deve essere abolito, come hobby, relazioni, prole e tempo libero.  

Il lavorare troppo a cosa porta? 

Questo fenomeno tirato per le lunghe può essere davvero dannoso per l’essere umano avendo delle ricadute negative sulla propria vita sociale e anche sulla salute. Infatti, si parla di burnout sul lavoro: sindrome associata alle troppe ore di lavoro che induce l’individuo a carichi di stress, ansia, attacchi di panico e si rischia anche di soffrire di depressione.  

Perché accade ciò? È tutto legato al nostro cervello: lo stesso, avendo dei ritmi così intesi, non riuscirà mai a ricaricarsi per bene durante le ore di sonno perché non abituato a riposarsi. È come se andasse in sovraccarico e non riuscisse più a recuperare le risorse mentali per affrontare il nuovo giorno.  

Lo stacanovista tende, di solito, a rimandare le pause e a preferire la caffeina per aumentare la produttività, ma non sempre le performance sono le migliori. Questo anche perché se si aumentano le prestazioni lavorative, si andranno ad aumentare anche i carichi di lavoro e questo porterà a un lavoro più pesante diminuendo così anche il proprio rendimento per lo stress emotivo.  

Lavorare troppo non è l’unico problema degli stacanovisti ma troviamo anche: 

  • Non riuscire a non pensare al lavoro a livello sia fisico che mentale; 
  • Non riuscire a mantenere sotto controllo il sistema nervoso ed elaborando diversamente lo stress, andando a discapito della propria integrità fisica; 
  • Non prendersi il tempo necessario per recuperare la stanchezza.  

L’ideale sarebbe infatti quello di prendersi delle pause, staccare nel tempo libero, non essere costantemente in pensiero per il lavoro e godersi un po’ la vita al di fuori dell’ufficio.  

Come venire in soccorso ai lavoratori stacanovisti? 

Di fronte a queste casistiche, l’azienda non deve far finta di niente o addirittura incoraggiare questo comportamento, perché a lungo andare non porta dei benefici ma l’opposto.  

In questo, il reparto delle risorse umane deve entrare in soccorso ai dipendenti. Può aiutarli in questo modo: 

  • Aiutarli nell’assegnare priorità alle attività quotidiane; 
  • Non incoraggiarli a portare il lavoro a casa; 
  • Creare un ambiente di lavoro che promuova l’equilibrio tra vita privata e lavoro, incentivando attività fisica, socialità, ferie pagate e il bisogno di trascorrere il tempo libero con famiglia e amici; 
  • Spingerli ad effettuare delle pause durante la giornata, utilizzando quel tempo per prendersi cura della propria persona mettendo da parte per un attimo il lavoro; 
  • Sviluppare un ambiente collaborativo offrendo ai dipendenti la possibilità di delegare il lavoro, a comunicare con i propri supervisori e colleghi e definire dei paletti per limitare eventuali distrazioni, 
  • Se un membro si trova in difficoltà, spronarlo a chiedere aiuto.  

“Quiet Quitting”: come opporsi alla “Hustle culture” oggi 

Negli anni ci sono stati diversi modi di dimostrare disappunto per questo fenomeno, come le “Grandi Dimissioni”, fino ad arrivare a un nuovo fenomeno spopolato sui social chiamato “quiet quitting”.  

È un fenomeno che si collega alle grandi dimissioni poiché vede i lavoratori lasciare il proprio lavoro per dare importanza al benessere personale. Al contrario però il quiet quitting rappresenta “l’abbandono silenzioso”: ossia lavorare, ma non troppo. Il concetto è quello di lavorare ma senza fare più straordinari, fare solamente le attività prestabilite nel contratto senza andare oltre.  

Una vera e propria opposizione al fenomeno della Hustle culture.  

È un nuovo modo di concepire il lavoro che mette al centro di tutto il benessere psicofisico del dipendente, dando più importanza al tempo libero, alla famiglia, alla cura del proprio io interiore.  

Le generazioni che abbracciano questo fenomeno sono maggiormente i Millenials e la GenZ, le quali non sono più disposti a lavorare fino allo sfinimento e anche perché solo in pochi si ritengono davvero soddisfatti del proprio lavoro, come dimostra uno studio realizzato da Gallup “State of the goal workplace 2022. Questo studio comprova infatti che: 

  • il 33% dei dipendenti si considera inserito in una condizione di crescita e di benessere; 
  • il 44% sostiene di essere stressato e ritiene il proprio lavoro demotivante; 
  • il 14% dei lavoratori dichiara di essere coinvolto nel proprio mestiere; 
  • il 9% è entusiasta di quello che fa.  

Questi numeri dimostrano come il coinvolgimento e la soddisfazione di datori di lavoro tra la GenZ è diminuita. Tutto questo è stato scaturito dalla pandemia, vedendo molti giovani licenziarsi per poter dare maggior spazio al loro benessere personale.  

Come deve essere gestito il fenomeno del “Quiet Quitting”? 

Il fenomeno può essere contrastato: l’importante è riuscire a trovare un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata, tracciando dei confini che non bisogna superare per non ricadere nel burnout dovuto dal troppo lavoro dato dalla Hustle Culture.   

Tra le soluzioni più importanti c’è il dialogo. Quest’ultimo aiuta i manager a mantenere un dialogo aperto, costante e costruttivo con feedback per mantenere i livelli di engagement alti e così i lavoratori si sentiranno a loro volta veramente parte dell’organizzazione.  

La definizione degli obiettivi in ottica di prospettiva di crescita è l’ulteriore prova che serve a rendere grate le persone e ad affrontare le ore di lavoro con più motivazione e coinvolgimento.  

“Hustle Culture” o “Quiet Quitting”? 

Entrambi i fenomeni possono essere visti come degli svantaggi per l’azienda o per il singolo individuo. Ma per ottenere dei vantaggi la soluzione più adatta è quella di trovare il giusto equilibrio tra vita privata e lavoro, cercando di gestire il tutto in maniera più bilanciata.  

La risposta corretta esiste? Lavorare per vivere è sempre giusto per poter sopravvivere ma l’importante è che non si trasformi in un “vivere per lavorare”, perché il lavoro deve riuscire a lasciare lo spazio per godersi il proprio tempo libero, dedicandosi alla famiglia, amici e hobbies.  

È infatti sempre importante ricordarsi che la vita è una e che a volte bisogna fermarsi un attimo e godersi il proprio tempo.  

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HR Tech: la trasformazione digitale che migliora la gestione del personale

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HR Tech: la trasformazione digitale che migliora la gestione del personale

Dopo la pandemia tutte le aziende hanno dovuto adottare alcuni cambiamenti riguardanti lo sviluppo della tecnologia e della digitalizzazione. È una vera e propria trasformazione digitale che modifica i modelli organizzativi e di business esistenti e futuri, andando a digitalizzare anche i processi e le attività per rendere il tutto più efficiente.  

La digitalizzazione identifica un nuovo modello di azienda intelligente sempre connessa con strumenti innovativi e tecnologici che delineano così l’industria 4.0. La sua cultura diffusa e l’acquisizione di un nuovo mindset aziendale permettono di delineare il successo della trasformazione digitale, riprogettando anche i processi e i modi di lavorare, ripensamento delle regole, dei modelli di leadership e di diffusione di una nuova cultura e competenze digitali.  

Questa trasformazione digitale prende “vita” anche per il reparto HR dove vediamo una moltitudine di piattaforme, applicazioni e servizi che vengono inserite in tutte le attività aziendali. Parliamo infatti di HR Tech, soluzioni tecnologiche che vengono sviluppate soprattutto in tre ambiti applicativi, ossia:  

  • Human capital management: Gestire una mole di informazioni, organizzandole e archiviandole in digitale rende il lavoro più semplice, veloce, flessibile e condivisibile all’interno del team, soprattutto per quanto riguarda assunzioni, retribuzioni, contratti e tutta la gestione amministrativa delle risorse umane; 
  • Talent acquisition (la ricerca del talento): i candidati sono molto attenti al modo in cui un’azienda imposta la campagna di selezione e questo fa la differenza nella scelta finale.  
  • Employer branding: l’azienda fa in modo di essere scelta dai candidati presentandosi bene, facendosi scegliere dai candidati migliori sul mercato grazie alla comunicazione diretta e coerente. Presidiare i canali, essere in grado di razionalizzare velocemente e in modo puntuale tutti i dati che arrivano è un’attività che le tecnologie possono fare meglio dell’intervento umano.  

 Cos’è l’HR Tech? E come si sviluppa una buona strategia di digitalizzazione dei processi HR? 

La trasformazione digitale dell’azienda e dei modelli di business coinvolge tutti i settori dell’azienda, ma principalmente il settore delle risorse umane, configurandosi appunto come HR Tech: ossia insieme di tecnologie innovative e supporti tecnologici che rendono i processi di gestione del personale più fluidi e flessibili.  

Il settore, in forza di questi strumenti ha la possibilità di assumere un ruolo strategico, migliorare la comunicazione tra i vari dipartimenti aziendali e semplificare tutti i processi che riguardano la gestione, come anagrafiche, permessi, presenze, formazione e valorizzazione dei talenti, in ottica di una maggiore produttività.  

Un’ottima strategia di HR Tech ha bisogno di alcune funzionalità importanti in grado di gestire il tutto. Come primo strumento troviamo la funzione dedicata ai dati dei lavoratori, ossia contratti, organigrammi, assistenza per il settore HR, sicurezza del lavoro e pianificazione strategica. Allo stesso tempo, è necessaria avere una sezione dedicata al management del personale, workflow, rilevazione dei costi, pianificazione e orari.  

Con la digital transformation si ha la possibilità anche di monitorare gli obiettivi e valutare periodicamente i sistemi aziendali, includendo così anche la funzione di formazione, utilizzando piattaforme di e-learning, portali per l’iscrizione ai corsi, sistemi per la vendita di competenze, app e strumenti per il micro-learning (processo di “granularizzazione dell’apprendimento” focalizzandosi su lezioni brevi).  

Gli strumenti a disposizione dell’HR Tech sono molteplici, come i software per la gestione paghe, per i video colloqui per il recruiting, piattaforme di incontro di domanda e offerta dei servizi, software per la gamification e così via. È un’opportunità per tutte quelle imprese che puntano a lavorare per efficienza, ottimizzazione dei processi e sviluppo organizzativo.  

Il primo settore che prende parte alla digital transformation: quello delle Risorse Umane 

Le risorse umane sono uno dei settori che si avvicina alla digitalizzazione prima di altri settori perché la sua funzione è importante all’interno dell’azienda, avendo una visione a 360° sui vari processi interni, infatti: 

  • La digital transformation rende tutti i processi di lavoro più veloci, snelli ed efficienti, rendendo anche i collaboratori interni più automatici nello svolgere le proprie attività e concludere le proprie task più velocemente.  
  • Grazie alla trasformazione digitale conoscerai meglio i tuoi clienti in modo più accurato, mediante l’approccio “user-centered”, mettendo sempre al centro di ogni strategia aziendale il cliente. Questo permette di soddisfare al meglio i bisogni e le aspettative degli stessi, instaurando così un rapporto di fiducia bidirezionale, dato che, al giorno d’oggi, gli user sono sempre più connessi, informati ed esigenti. 
  • Molte statistiche hanno dimostrato che le imprese che hanno adottato una strategia di digital transformation hanno avuto un aumento dei profitti.  
  • Ogni azienda che adotta una strategia di digitalizzazione sarà sempre avanti rispetto alla concorrenza. I benefici derivanti da questa evoluzione sono molteplici e le aziende che lo comprenderanno saranno un passo avanti.  
Cos’è importante nella trasformazione digitale in azienda? 

La digital transformation è importante per le imprese perché sono proprio i dirigenti e i manager a mettere i collaboratori nelle migliori condizioni per “abbracciare” la digitalizzazione dei processi HR apprendendo nuove competenze, nozioni e processi produttivi per ottenere una buona “change management”. Ma allo stesso tempo gli stessi devono essere propensi al cambiamento ed essere in grado di abbandonare le proprie abitudini e impararne di nuove.  

Per questo è importante che l’impresa rispetti alcune delle caratteristiche importanti per investire nella digitalizzazione, ossia: 

  • Il sapersi adattare al futuro; 
  • Mettere al centro dei propri processi aziendali le nuove conoscenze digitali acquisite; 
  • Essere in grado di analizzare ogni informazione; 
  • Avere l’integrità necessaria per gestire con sicurezza ed efficacia questo tipo di cambiamento.  

Tutto questo senza mai dimenticare i pilastri fondanti della digital transformation: 

  • Leadership 
  • Tecnologie e software 
  • Persone 
  • Processi aziendali  
  • Innovazione 
  • Cambiamento 

L’HR Tech è ormai un’innovazione digitale che andrà a migliorare sempre di più la vita in azienda se integrata nel modo giusto.  

Noi di P&S People Solutions offriamo dei servizi tecnologici e innovativi adatti alle tue esigenze. Parliamo di strumenti che ti aiuteranno nella gestione delle risorse umane, come gli Applicativi Zucchetti. 

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Diversità e inclusione: una nuova visione aziendale

diversità e inclusione

Diversità e inclusione: una nuova visione aziendale

Oggigiorno, la diversità e inclusione (che spesso rende in acronimo D&I) sono dei concetti rilevanti per le aziende, in quanto si prendono in considerazione tutte quelle caratteristiche che rendono unico ognuno di noi e che si correlano con l’espressione di noi stessi in azienda. Infatti, grazie all’inclusione e diversità l’impresa sceglie di creare un ambiente in cui nessuno si senta escluso, dove ci sia rispetto senza pregiudizi.

È per questo che spesso le aziende adottano vere e proprie strategie di diversity e inclusion, sforzandosi di ripensare a tutte le abitudini organizzative e affrontare, anticipando, i possibili pregiudizi, promuovendo obiettivi, policy e pratiche che favoriranno una vera e propria cultura inclusiva.

Andiamo quindi a declinare:

  • L’uguaglianza: una responsabilità etica dell’azienda.
  • Le risorse umane;
  • Una cultura interna inclusiva;
  • La creazione di valore per l’impresa.

Come promuovere il concetto di diversità in azienda?

Per definirsi come un’azienda inclusiva non basta solamente assumere persone provenienti da ambienti differenti, con diverse culture, ma si ha bisogno di una guida verso questa evoluzione: è qui che entra in gioco il Diversity Management. Scelta che permette di far sentire maggiormente a proprio agio i collaboratori e si incrementerà la produttività e la responsabilità sulle proprie attività.

In quest’ottica, dunque, l’obiettivo è quello di progettare, sviluppare e attuare strategie che promuovono la diversità, in tutte le aree dell’azienda. Per fare ciò è fondamentale partire dal:

  • Comunicare politiche ed educare a dare l’esempio: andando a sensibilizzare le risorse grazie all’utilizzo di una comunicazione inclusiva.
  • Includere agenti di cambiamento in diversi processi: introdurre talenti appartenenti a diverse culture aiuterà il team ad avere prospettive diverse ma anche a migliorare le politiche di inclusione e a rilevare i pregiudizi.
  • Creare un ambiente sicuro, empatico e fiducioso: bisogna far sentire i collaboratori a proprio agio nel mostrare la loro vera personalità.
  • Discriminazione positiva: valorizzando sempre di più la partecipazione di persone di diverse culture, etnie, di genere, sessuali in contesti in cui possono sembrare minoritarie.
  • Garantire pari opportunità tra generi: dando importanza alla parità di genere, alle quote rosa presenti in azienda, monitorando tutte le disparità di genere, anche in ottica di salari e flessibilità.
  • Includere le persone disabili: affidando agli stessi compiti a seconda dalle loro possibilità senza farli sentire a disagio.
  • Favorire lo scambio di generazioni: formazione tecnologica a chi ha meno dimestichezza con la tecnologia e prevedere attività di tutoring per i più giovani per far crescere lo spirito di gruppo.
  • Identificare i diversi modi di lavorare e le diverse modalità di comunicazione, comprendere le differenze, le attitudini e creare dei team che proprio per la loro diversità possono andare avanti.

Azienda inclusiva? Parte tutto dal recruiting

Nel momento in cui si vuole integrare una strategia di inclusione all’interno dell’azienda è importante tenere presente tutti gli aspetti a partire dall’iter di selezione del candidato, in questo modo fin da subito si fa comprendere alla nuova risorsa che l’azienda è attenta alla D&I e che non assume solamente persone di diversa etnia o diverso orientamento sessuale, ma è in grado anche di garantire la diversità e inclusione.

Dato che gli HR hanno un compito importante di ricerca della risorsa migliore da inserire all’interno dell’organizzazione, devono impegnarsi a costruire un’azienda diversificata, coinvolgendo i membri del loro team e creare le basi per una cultura basata sulle diversità.

Dunque, coinvolgere e ingaggiare i dipendenti, non facendo distinzioni per ruolo, età. In questo modo tutti comprenderanno la diversità e sapranno come gestirla. I responsabili delle risorse umane, inoltre, devono garantire che le politiche di diversità e inclusione siano rispettate nell’azienda durante tutte le fasi in cui la stessa si relaziona con ciascun lavoratore, candidato, cliente, fornitore, azionisti, ecc.

La diversity e inclusion devono essere la parte fondante già nel recruiting; per questo bisogna redigere un’offerta di lavoro all’altezza che mostri fin da subito l’inclusività. Tra le caratteristiche che deve avere una job description, troviamo:

  • L’essere chiari su quali qualifiche e quali caratteristiche dovrà avere il candidato per la posizione aperta;
  • Sapere quali competenze trasversali, o soft skill, cerchi per la tua nuova risorsa in modo da adattarsi alla cultura aziendale;
  • Determinare le aspettative che l’azienda ha per quella posizione.

Per rendere la job description ancora più inclusiva si può aggiungere che “il recruiting garantirà pari opportunità, senza distinzione di razza, sesso, origine, età, ecc” ma attenzione perché è una promessa che deve essere rispettata.

Durante la fase del recruiting, anche le domande da porre possono essere fatte in modo inclusivo, ti proponiamo alcuni esempi:

  • In quali valori dell’azienda ti identifichi?
  • Accetteresti dei training se ne hai bisogno per sviluppare alcune attività?
  • Cosa pensi di dare al team e/o all’azienda?
  • Quale pensi sia la sfida più grande di questa posizione?
  • Quale parte di questo lavoro ti attrae di più?
  • Come vorresti crescere professionalmente all’interno di questa azienda?

Questo aiuterà la tua azienda a presentarsi al candidato come inclusiva e attenta alla D&I.

Leadership inclusiva: cos’è e come padroneggiarla in azienda

Parlando di azienda inclusiva, non possiamo non parlare di leadership inclusiva. Anche il leader deve essere in grado di rispettare le diversità e dimostrarlo soprattutto nei momenti di pubblica visibilità, in modo da affermare questi valori su tutta l’organizzazione anche all’esterno.

Il leader inclusivo si riconosce da alcuni tratti distintivi come la capacità di ascolto; l’avere consapevolezza dei propri bias; l’essere curioso e avere un’intelligenza culturale ed emotiva; propensione alla collaborazione e aiutare sempre il prossimo con determinazione e coraggio.

Queste caratteristiche in azienda si traducono in:

  • Impegno: investire del tempo sull’inclusività, sullo spirito di iniziativa, impegnarsi per influenzare in modo positivo sul tema della diversità e inclusione, facendo sentire tutti a proprio agio, con un trattamento equo e rispettoso, stimolando la partecipazione attiva;
  • Confronto trasparente: trasparenza in tutti i processi aziendali, dal job posting, al recruiting, all’onboarding, e così via;
  • Consapevolezza: essere consapevoli che l’inclusività non fa parte solo del reparto risorse umane, ma bisogna saper riconoscere i propri bias cognitivi e agire di conseguenza;
  • Misurazione dell’impatto: La leadership inclusiva deve essere inserita in una strategia solida, basata su strumenti adeguati che ne garantiscano l’impatto. Monitorare, quindi, tutti gli indicatori degli obiettivi prefissati per raggiungere la massima inclusività.

Per ottenere tutto ciò, il leader inclusivo deve operare in un’ambiente anch’esso inclusivo e adattato alla strategia di D&I. Per questo deve essere basato prima di tutto su una garanzia di sicurezza emotiva che permetta ai collaboratori di sentirsi liberi di poter esprimere le loro opinioni. È necessario, inoltre, rimuovere tutti quegli ostacoli che non permettono la collaborazione da parte di tutti e, come leader inclusivo, mettersi al servizio di tutti per influenzare i processi aziendali in ottica di inclusività.

Quanti benefici ci sono parlando di diversità e inclusione nel mondo del lavoro?

Come il concetto di diversità migliora l’azienda? Vediamo insieme alcuni dei vantaggi che la D&I apporta all’organizzazione e al team (fonte: https://factorial.it/blog/diversita-inclusione-in-azienda/):

  • Miglioramento dei risultati: le aziende con una diversità di genere equilibrata ottengono risultati superiori del 48% rispetto ad altre aziende. Questo è dato dal fatto che in un team diversificato si avranno diversi punti di vista ottenendo così un valore aggiunto al risultato finale.
  • Miglioramento della produttività: una strategia di diversità e inclusione porta con sé una maggiore creatività, stimolazione e impegno verso delle sfide, apprendimento, capacità di lavorare insieme che si traduce in soddisfazione del team. Infatti, l’85% dei CEO che promuovono la diversity e inclusion dichiara di riscontrare prestazioni migliori con team diversificati e affermano di avere il 30% in più di profitti.
  • Miglioramento dell’employer branding: migliorando il personal branding si attrarranno migliori talenti all’interno delle aziende. Se l’organizzazione sostiene la diversità, questo rende il tutto più attraente agli occhi dei talenti più qualificati.
  • Conservazione dei migliori talenti: se nell’organizzazione si riesce ad offrire il miglior posto in cui lavorare, svilupparsi come professionista, senza restrizioni o pregiudizio, sarà facile trattenere i talenti.
  • Migliore relazione con il cliente: i team diversificati ottengono il 39% in più di soddisfazione del cliente perché il 67% dei consumatori preferisce aziende che si posizionano e condividono gli stessi valori in materia di sostenibilità, trasparenza, diversità e inclusione.

Una società che lavora in ottica di inclusione e diversità è una società che guarda al futuro, valorizzando e promuovendo la D&I e migliorando anche la qualità della vita dei singoli o del team grazie al raggiungimento di traguardi insieme.

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L’onboarding aziendale: l’integrazione giusta per sentirsi a proprio agio

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L’onboarding aziendale: l’integrazione giusta per sentirsi a proprio agio

Chi non si è sentito spaesato il primo giorno di lavoro? Per aiutare a coinvolgere maggiormente il neo assunto si parla di onboarding aziendale, quel processo di integrazione e di familiarizzazione del nuovo dipendente all’interno dell’organizzazione per farlo sentire subito a suo agio.

Come organizzare un processo di onboarding?

Durante la realizzazione del processo di selezione del personale è importante avere ben chiaro tutti i passaggi che l’azienda e il neo assunto dovranno seguire.

L’analisi della situazione aziendale è il primo passo perché si deve mettere al corrente l’intera organizzazione dell’arrivo del nuovo arrivato, andando anche a spiegare il perché e gli obiettivi dell’inserimento della nuova risorsa. Infatti, è importante saper comunicare in modo chiaro, coerente ed efficace con il team. In questo modo, durante il processo di onboarding in azienda si coinvolgerà il nuovo talento in modo attivo, condividendo con lui la cultura aziendale, i valori, la mission e la vision dell’azienda.

Un buon piano di onboarding continua con la formazione e la dotazione di tutto il materiale necessario (pc, smartphone aziendale, postazione, ecc.) per fornire tutte le informazioni adatte così da avere una base teoria e pratica di tutti gli strumenti che il neo assunto deve utilizzare e che gli permetteranno di intraprendere questo nuovo percorso nel migliore dei modi. Inoltre, è importante anche metterlo a conoscenza di tutti i benefits che l’azienda offre, come welfare, buoni pasto e così via.

Il new entry si sentirà subito a suo agio se si coinvolge internamente anche il management aziendale e i vari membri del team.

Selezione interna del personale: quanto può durare l’intera procedura?

L’inserimento del personale potrebbe togliere un po’ di tempo; infatti, un processo di onboarding potrebbe durare dai 3 ai 6 mesi. Questo perché non bisogna avere fretta, anzi un onboarding di successo ha bisogno del tempo giusto per ottenere un vero e proprio avanzamento graduale e serve per rendere maggiormente produttive le nuove risorse generando una collaborazione a lungo termine, evitando anche l’abbandono del lavoro dopo soli pochi mesi dall’assunzione.

Dedicando il tempo adatto si possono creare diversi percorsi di inserimento, tenendo conto anche delle caratteristiche personali del neoassunto. Tutto questo servirà ad accoglierlo nel migliore dei modi e trasmettergli la giusta motivazione a lavorare nelle condizioni migliori e in modo produttivo. Infatti, un efficace onboarding aziendale che valorizza l’integrazione sociale e culturale del neoassunto, renderà il new entry pienamente produttivo e consapevole della cultura aziendale.

Processo di onboarding efficace: quanti vantaggi genera?

Se ben studiata e ben integrata, la strategia dell’onboarding riuscirà ad ottenere dei vantaggi non solo per la nuova risorsa, il quale apprenderà tutte le dinamiche aziendali, ma anche per l’azienda. Proviamo a fare qualche esempio:

  • Avere lavoratori di talento: se una risorsa con elevate qualifiche professionali si trova bene non lascerà l’azienda, anzi darà il meglio in ogni attività. Questo contribuirà a rendere l’ambiente lavorativo più gradevole e produttivo.
  • Maggiore produttività: se i nuovi arrivati si sentono integrati nel team di lavoro, avranno obiettivi comuni da perseguire e condividono gli stessi valori; quindi, saranno più produttivi e motivati.
  • Buona impressione: se i dipendenti si sentono a proprio agio fin dall’inizio, si sentiranno subito parte integrante dell’azienda.
  • Minori costi di assunzione: se i collaboratori lasciano il lavoro nei primi mesi per l’azienda è un grande costo economico. Con un buon processo di onboarding questo non accadrà e andrà a vantaggio dell’azienda.

Di conseguenza tutto questo genererà dei vantaggi anche per i dipendenti, i quali:

  • Si sentono parte di qualcosa di grande;
  • Sono informati sui loro compiti e su come lavora l’azienda;
  • Hanno maggiore motivazione per mostrare il loro valore;
  • Saranno soddisfatti e decideranno di continuare a lavorare per l’impresa.
Gli strumenti adatti per il processo di onboarding digitale  

In un processo come quello dell’onboarding aziendale la tecnologia è uno tra gli strumenti più importanti perché il processo di selezione sarà più fluido, migliorando sia il lavoro del team HR, sia l’inserimento dei nuovi assunti. Utilizzando gli strumenti digitali adatti si otterrà un’accelerazione e automatizzazione del processo di onboarding permettendo alla nuova risorsa di accedere a tutte le informazioni di cui ha bisogno da qualunque dispositivo.

Tra gli strumenti adatti per l’HR onboarding possiamo proporvi qualche esempio, come:

  • Software per videoconferenze: come Microsoft Team, Skype, Zoom, Webex e molte altri, i quali permettono una gestione più efficiente di colloqui singoli o di gruppo, ti danno la possibilità di organizzare riunioni, pianificare webinar;
  • Software di collaborazione aziendale: come Trello, Slack, Dropbox, attraverso i quali i dipendenti possono lavorare da remoto su uno stesso progetto e organizzare il flusso di dati e informazione in modo facile e veloce.
  • Software di firma digitale: come la Firma Digitale Zucchetti che permette di dematerializzare delle pratiche aziendali permettendo al nuovo arrivato di firmare i documenti necessari anche da pc, tablet, cellulare.

Grazie all’impiego di strumenti innovativi si ridurranno i margini di errore, si archivieranno tutti i dati con sicurezza, semplificando l’accesso alle informazioni e rendendo il tutto più snello e veloce. Inoltre, si otterrà una maggiore coerenza nell’inserimento dei nuovi dipendenti perché si offre a ognuno dei nuovi assunti la stessa esperienza, costruendo in questo modo un team che conosce e comprende la cultura e i valori dell’impresa. Per non parlare della riduzione in ottica di costi previsti nel tradizionale processo di onboarding e possibilità di gestire tutti i progetti da remoto senza difficoltà.

Implementando i servizi Zucchetti si parlerà di “Enterprise Digital Folder”, ossia l’archivio unico che raccoglie e cataloga tutti i documenti relativi a un soggetto nel sistema, interno o esterno all’azienda. È possibile, infatti:

  • Gestire tutte le informazioni di ogni soggetto aziendale;
  • Archiviare in modo automatico gli applicativi;
  • Catalogare per classe documentale;
  • Gestire funzioni di ricerca dei documenti,
  • Avere tutto in linea con le nuove normative sulla privacy.
  • Conservare tutti i documenti: cedolini, LUL, 770, ecc.
Quali sono gli obiettivi di un piano di onboarding?

L’onboarding aziendale, come abbiamo visto, porta con sé diversi benefici che vanno a vantaggio di entrambe le parti coinvolte. Ma vediamo insieme gli obiettivi dell’adozione di questa strategia:

  • Rispettare le politiche interne dell’azienda: il nuovo dipendente deve conoscere tutte le regole relative al suo lavoro, dalle politiche legali e sociali agli standard di sicurezza;
  • Conoscere la posizione di un lavoratore e le sue funzioni: bisogna spiegare le tecniche, i metodi e gli strumenti necessari per eseguire il lavoro nel migliore dei modi;
  • Far conoscere i valori aziendali: il nuovo dipendente deve comprendere i valori, gli obiettivi e la mission e vision dell’azienda.
  • Mostrare la collaborazione dell’organico nell’organigramma aziendale: è necessario comprendere la posizione di ciascuno all’interno della struttura dell’azienda. Si dovrebbe aiutare il lavoratore a stabilire delle relazioni con altri colleghi per agevolare l’attuazione quotidiana dei loro compiti.

Interessante vero? E tu che strumenti utilizzi per effettuare un efficace onboarding aziendale?
Contattaci e ti mostreremo gli strumenti Zucchetti adatti alle tue esigenze.

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L’umiltà – la soft skill inaspettata, utile alla leadership

essere umili a lavoro

L’umiltà – la soft skill inaspettata, utile alla leadership

Tra tutte le doti di leadership che deve avere un capo se ne aggiunge una inaspettata, che viene sempre più richiesta dalle aziende: l’umiltà. Quante volte abbiamo sentito parlare di umiltà ma non nel modo giusto? Si tende associare questo termine a qualcosa di negativo, a qualcuno di timido, insicuro perché al giorno d’oggi siamo circondati da una società che promuove sempre di più l’individualismo e l’egocentrismo.

Soprattutto nel mondo del lavoro l’umiltà è una virtù che viene sottostimata considerando una persona umile come una persona debole e incapace di prendere decisioni.

Ma qualcosa sta cambiando.

Qual è il vero valore dell’umiltà?

L’umiltà rappresenta uno di quei valori che, se usati nel modo corretto, portano miglioramenti efficaci sia nella vita privata che nella vita lavorativa, senza avere paura di mostrare i propri limiti.

L’altruismo è uno dei valori che accompagna l’umiltà perché l’essere umili porta l’individuo alla ricerca dell’autorealizzazione aiutando gli altri. Inoltre, si ha la consapevolezza di essere imperfetti e per questo giorno dopo giorno ci si migliora allontanandosi dal proprio ego, aprendosi in maniera costruttiva a nuove idee e a differenti punti di vista.

Avere questo valore anche nei modelli di leadership è importante. Vediamo insieme perché:

  1. Con l’aumento costante della complessità del lavoro è aumentato anche il carico di lavoro e la richiesta di un mix di competenze. È impossibile realizzare tutto da soli e con l’umiltà si è in grado di collaborare. Questo permette di raggiungere gli obiettivi insieme.
  2. In azienda esistono molte zone d’ombra dovute ai problemi di interazione tra i membri del team. La comunicazione potrebbe fallire sia se avviene verso il basso che verso l’alto, per questo è importante saper comunicare con umiltà, nel modo giusto, e ammettere di aver sbagliato per trovare delle soluzioni insieme.
  3. Con l’avvento delle nuove generazioni sono cambiati anche i valori, le aspettative. Si parla infatti di “Yolo Generations”. Con l’umiltà si possono comprendere al meglio tutti i cambiamenti perché si avrà una mente più aperta alle novità.

Come si comporta un leader umile?

Un leader umile non è colui che è pieno di ego, di superbia e che ha le risposte a tutto. Un vero leader umile è colui che in determinate situazioni è in grado di ammettere di aver sbagliato, capace di mettersi a “nudo” davanti il suo team e mostrando ai collaboratori di saper riconoscere i propri errori. Questo porterà anche gli altri a fare lo stesso e si creerà un clima di collaborazione.

L’essere umile ci porta a scoprire nuove prospettive da cui osservare la realtà, imparando ad ascoltare nuove linee di pensiero dei nostri collaboratori, rispettando le idee altrui e liberandoci dai pregiudizi: ingrediente fondamentale per la motivazione dei colleghi che saranno sempre più propensi a collaborare.

Ciò che un leader umile non deve smettere di fare è di continuare a imparare, soprattutto in un mondo in costante cambiamento, dove le informazioni cambiano velocemente. Solo il presuntuoso pensa che non sia più necessario imparare e vede con disprezzo il doversi rimettersi in gioco per apprendere nuove strategie manageriali.

Altro fattore importante è quello di riconoscere sempre i meriti dei collaboratori, stimolando la crescita e l’apprendimento per arricchirli di nuove competenze in modo che tutta l’organizzazione ne tragga vantaggio. Infatti, è proprio su questo che si valuta il successo di un vero leader umile.

L’umiltà, una caratteristica sempre più richiesta

Valutare la personalità di un candidato è fondamentale perché nessun diploma indicherà skill come l’umiltà, l’empatia, la creatività, la capacità di collaborazione, le doti di team working e così via. Queste sono alcune delle caratteristiche che durante il colloquio di lavoro vengono misurate, l’umiltà viene identificata come una skill collaborativa

Per valutare un candidato nel migliore dei modi è importante essere attenti ad alcuni criteri, come:

  • L’iniziativa: “il candidato è meticoloso nel proprio lavoro?”, “è capace di riconoscere i propri errori e di correggerli di sua iniziativa?”
  • Abilità ad imparare dai propri errori: valutate l’umiltà e la flessibilità del candidato. “è capace di accettare i propri errori e di imparare da questi?”
  • La reputazione: per valutare il candidato in base alle sue soft skill è importante conoscere nel dettaglio la sua vita, i suoi diplomi, i suoi social network. Questo per verificare quali sono i tratti della personalità che mette in evidenza. Chiedete anche ai suoi vecchi colleghi.
  • Competenze di comunicazione: verificate la capacità di comunicazione, che abbia una buona eloquenza, una buona penna e un’ortografia accurata.

Per aiutare nell’intento, alcuni ricercatori stanno sviluppando diversi metodi per rintracciare questa virtù importante. Un esempio sono i test di “Hogan Assessments” eseguiti sulla personalità.

Sono dei test di personalità che fanno emergere punti di forza, aree di sviluppo e valori di una persona, valorizzando la leadership, le risorse e facilitando i percorsi di carriera. Inoltre, descrivono il comportamento di un individuo in un contesto lavorativo, includendo la gestione dello stress, l’interazione con gli altri, la conduzione delle attività quotidiane e la risoluzione dei problemi.

Come l’essere umili aiuta la tua crescita personale?

Perché il valore dell’umiltà è così importante per le aziende? L’umiltà porta con sé molti benefici che migliorano l’individuo. Vediamoli insieme:

  • Aumento della propria intelligenza emotiva;
  • Sviluppo di qualità come compassione e empatia cominciando a considerare anche gli altri e non concentrandosi più sui propri successi;
  • Possibilità di essere considerato come un leader carismatico per le proprie abilità sociali e questo darà l’opportunità di ottenere maggiore successo;
  • Riduzione e gestione dello stress perché c’è maggiore concentrazione su sé stesso, accettando di conseguenza le critiche e abbracciando il cambiamento;
  • Evoluzione della mentalità, sempre più positiva aumentando così anche il problem solving;
  • Mente più libera da schemi fissi accrescendo la propria immaginazione e la propria creatività, aprendo la mente a nuovi pareri e spunti di riflessione;
  • Le relazioni si intensificheranno e la vita lavorativa sarà più appagante, più soddisfacente.

L’essere umili a lavoro rende le persone più empatiche, collaborano maggiormente e non si sentiranno a disagio nel seguire le indicazioni di leader che considerano un modello da seguire.

E tu, sei un leader umile con i tuoi collaboratori? Lo reputi un valore importante per gestire il tuo team?

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Lavorare in team: come stimolare i rapporti costruttivi tra i collaboratori.

lavorare in team

Lavorare in team: come stimolare i rapporti costruttivi tra i collaboratori.

Lavorare in team è una tra le attività più costruttive in azienda, per questo bisogna fare in modo di creare un buon ambiente di lavoro e favorire dei solidi rapporti tra colleghi affinché svolgano e attività nel modo più efficiente possibile.  

L’atmosfera serena è ciò che ogni datore di lavoro deve essere in grado di realizzare e, grazie a questo, si migliorerà la produttività, riducendo lo stress e creando un ambiente più fluido dove le incomprensioni si minimizzano. Un buon leader deve essere garante della serenità e del dialogo, rendendo lo stesso fluido, costruttivo e davvero efficace.

Ma, come migliorare la collaborazione tra colleghi?

Per costruire un rapporto con i colleghi e collaboratori, bisogna avere alla base delle caratteristiche importanti, che possono anche coincidere con quelle della vita privata. Un leader deve essere in grado di guidare il proprio team al successo ed essere in grado di ascoltare e soprattutto gestire i feedback e le eventuali lamentele riportando il tutto in un’ottica positiva, di costruzione.

Tra le caratteristiche più importanti troviamo:

  • La fiducia: mostrando al tuo team che credi in loro, ti fidi, questo farà nascere un solido legame tra le due parti che aiuterà nel lavorare in team, collaborare e comunicare con maggiore efficacia. Un buon leader deve mostrarsi responsabile e affidabile. Questo permetterà ai collaboratori di fidarsi a tal punto che saranno propensi a collaborare e a condividere le loro opinioni. Se un leader si fida sarà in grado anche di delegare le attività e al massimo controlla il risultato finale. Dire che ci si fida ma poi demolire passo dopo passo quello che si fa è, al contrario, distruttivo.
  • Rispetto: rispettare le idee di tutti i tuoi collaboratori, mostrarsi propenso all’ascolto delle idee altrui, trovare soluzioni insieme e migliorare il lavoro in team. Ascoltare gli altri ed essere propenso a cogliere tutti i vari punti di vista diversi per ogni situazione, mantenendo un atteggiamento positivo e senza pregiudizi aiuterà il tuo team a migliorare la produttività e favorendo il teamworking. Così facendo favorirai il confronto e l’integrazione, incoraggiando rapporti con i colleghi sempre più efficaci che andranno a beneficio dell’azienda.
  • Comunicazione chiara e coerente: la comunicazione è il fil rouge che permette di stabilire ottime relazioni, soprattutto relazioni di successo. Cerca sempre di avere un comportamento coerente con quello detto e incoraggia sempre gli altri a collaborare in azienda, condividere opinioni e comunicarle con diplomazia. Esempi di feedback con atteggiamenti non distruttivi potrebbero essere: “Grande lavoro su… Un suggerimento potrebbe essere…”.
  • Accettazione delle diversità: il leader deve essere in grado di accettare le diversità di pensiero, modi differenti di risolvere determinate situazioni aziendali. Tutto questo migliorerà anche i rapporti con i colleghi, ad esempio nel momento in cui bisogna svolgere un lavoro di gruppo.
  • Capacità di saper trasmettere positività ai collaboratori: come datore di lavoro devi essere in grado di far relazionare i collaboratori, quindi analizza le tue abilità di collaborazione e condivisione, cerca di capire dove arrivano i tuoi limiti e spingiti oltre. Questo verrà preso da modello e incoraggerà anche i tuoi collaboratori a sostenere il lavoro dei colleghi, rafforzando le relazioni professionali. Conoscersi reciprocamente aiuterà sempre di più lo sviluppo del lavoro di team.
  • Accettazione delle critiche costruttive: come tutti sappiamo le critiche sono sempre difficili da accettare ma imparando a distinguere quelle costruttive da quelle non costruttive ti farà crescere, migliorando, lavorativamente parlando. Mantieni sempre il dialogo con la persona che ti ha posto la critica e non mostrarti a disagio, rimani calmo e accetta il suo punto di vista.
  • Disponibilità: avendo sempre un atteggiamento aperto, sollecito e disponibile con i tuoi collaboratori si migliorerà la collaborazione in azienda rendendo tutti motivati e soddisfatti di lavorare in team.

Collaborazione in azienda: che tipologie di collaboratori esistono?

Costruire un buon clima aziendale grazie al teamworking è fondamentale, grazie ad essa ogni collaboratore si sentirà a suo agio sapendo di contare su una persona fidata e si impegnerà maggiormente nelle attività. In ogni azienda ci sono delle caratteristiche che spiccano di più in ogni collaboratore, le quali lo rendono unico e gli permettono di facilitare l’azione della collaborazione con gli altri.

Vediamo insieme come vengono identificati alcuni collaboratori in base alle proprie caratteristiche:

  1. Lo Sponsor: è colui che mette sempre in bella luce gli altri, le loro idee, le loro iniziative. Inoltre, sa perfettamente quando e come comunicare i propri progetti, valorizzandoli al meglio. Sponsorizza al meglio i propri colleghi e i loro lavori. La missione che si può affidare sarà quelle del “gregario” – non sarà il leader del suo gruppo ma la persona di riferimento che avrà un occhio in più all’organizzazione.
  2. L’Empatico: con lui hai la certezza di essere ascoltato con attenzione ed empatia. Rappresenta quell’alleato al quale confidare qualsiasi cosa perché sa tenere le informazioni in maniera riservata e, inoltre, sa gestire anche i momenti di tensione. All’interno del gruppo sarà il tuo orecchio e può essere il tuo “brand ambassador” nel caso di malcontento in azienda.
  3. Il Difensore: è l’alleato che trova sempre il modo di difendere gli altri nei momenti di difficoltà o di criticità e lo fa argomentando sempre nella maniera corretta e con i giusti modi per evitare critiche o accuse infondate. Ottimo per i ruoli dedicati alla sicurezza sul lavoro e al monitoraggio delle corrette pratiche.
  4. Il Consigliere: è colui che da sempre buoni consigli, facendo leva sulla propria esperienza e saggezza. Vede i problemi nella loro complessità e nella loro prospettiva temporale e aiuta il collega a trovare le migliori soluzioni per affrontarli.
  5. Il Problem Solving: è l’alleato che riesce a trovare sempre la soluzione giusta con determinazione e concretezza. Non si pone domande e non giudica l’accaduto, anzi si concentra sul trovare la soluzione più adatta. Risorsa fondamentale perché calma nel momento del bisogno.
  6. L’Esperto: è colui che si assicura di sapere sempre tutto e ha voglia di informarsi, di studiare per capire come dare un buon consiglio, un parere tecnico ed informato. È l’alleato su cui contare per conoscere qualsiasi tipo di informazione autorevole e affidabile. Riflette molto, pensa, ragiona e offre sempre la sua esperienza.
  7. Il Motivatore: rappresenta il collega che riesce a trovare sempre il giusto tenore emotivo in caso di stati d’animo troppo alti o bassi puntando sull’ironia, sulla gentilezza. Capisce lo stato d’animo di una persona e cerca di trovare il modo migliore per riportarlo a una condizione di motivazione verso il lavoro. Rappresenta il vero e proprio leader del team building.
  8. Il Pensatore Creativo: quell’alleato che vede le situazioni da un’altra prospettiva, favorendo il pensiero laterale. Dopo averci parlato ti farà venire in mente idee nuove, ti farà “accendere la lampadina”.

I tuoi collaboratori rispecchiano una di queste caratteristiche?

Collaborando si raggiungeranno insieme anche grandi obiettivi. Il datore di lavoro deve essere in grado di non generare scontri, non favorendo la competizione perché potrebbe non portare ai risultati sperati.

E tu, nella tua azienda, riesci a stimolare in modo costruttivo i rapporti con i colleghi?

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Gamification: coinvolgimento aziendale 2.0

come coinvolgere internamente i collaboratori con la gamification

Gamification: coinvolgimento aziendale 2.0

La gamification è una strategia aziendale che coinvolge in prima persona il dipendente attraverso delle tecniche di gioco per portarlo ad acquisire una competenza o per fargli svolgere un’attività attraverso un nuovo approccio. Il gaming ha il pregio di “alleggerire” l’approccio alla novità, rende l’individuo partecipe, e lo porta ad ottenere sia obiettivi d’impresa che personali, aumentando il suo interesse nello svolgere i compiti assegnati.

Dato che la persona è al centro di tutte le strategie, parliamo di gamification in HR. La gamification stimola il coinvolgimento attivo aumentando la partecipazione facendo leva sulle motivazioni profonde dei partecipanti. I dipendenti si sentiranno maggiormente apprezzati aumentando il senso di appartenenza.

Introducendo la gamification nella tua azienda, noterai un aumento di produttività: il team lavorerà insieme e con maggiore velocità, collaborando, apprendendo nuove competenze tramite la partecipazione attiva e diretta. Con la gamification in azienda si renderà tutto più dinamico e interattivo, stimolando sempre di più l’interazione dell’individuo.

Efficacia aziendale della gamification in HR

La scelta di introdurre la gamification in azienda è fondamentale quando si ha la necessità di sviluppare le relazioni costruttive, come ad esempio:

  • Attività formative aziendali: rendendo più “fun” la formazione;
  • Processi aziendali come selezione, onboarding, gestione e valutazione della performance;
  • Lavorare sull’engagement come buona diffusione di valori aziendali;
  • Acquisizione di nuovi clienti;
  • Fidelizzare clienti che già conoscono l’azienda o il prodotto;
  • Gestione del rapporto con i clienti.

Obiettivi fondamentali della gamification

La strategia della gamification non solo aiuta l’impresa a coinvolgere maggiormente i dipendenti, ma permette anche di raggiungere molti obiettivi aziendali. Facciamo qualche esempio:

Gamification in azienda: come introdurla?

Per inserire la gamification in azienda occorre in primis fare un’attenta analisi interna e, come non farla se non con il formulare delle domande specifiche? Questo aiuterà la tua impresa a comprendere come seguire al meglio la strategia. Vediamone insieme qualcuna.

  1. Chi è il target? Conoscere bene a chi stiamo rivolgendo l’azione di gamification, non può essere rivolta a tutti, ma deve essere ben progettata per ogni tipologia di audit.
  2. Quali sono gli obiettivi e i traguardi da raggiungere? È fondamentale avere ben chiaro il focus dell’azione: deve essere mirata e specifica in base agli obiettivi e ai traguardi da raggiungere.
  3. Che azione si vuole incoraggiare? La gamification ha l’obiettivo di migliorare la relazione tra i reparti; raggiungere uno scopo specifico; in altre parole, mettere in moto dei comportamenti. Quindi, è importante che l’azienda comprenda bene quale cambiamento vuole portare e come concentrare i propri sforzi.
  4. Come monitorare i progressi? Dato che la gamification è uno strumento di marketing, ha bisogno di monitoraggio. Si potrà così comprendere quanto l’azione gamificata sta avendo successo oppure no e agire di conseguenza.
  5. Che tipo di ricompensa offrire? Come in un videogioco l’azione di un utente deve essere finalizzata a un benefit; quindi, se al dipendente verrà offerto un premio, svolgerà il compito più volentieri, anche se è uno dei compiti più noiosi in assoluto, ma si sentirà soddisfatto e lo farà più volentieri.
  6. Come promuovere l’azione di gamification? Bisogna definire attentamente i canali attraverso i quali muoversi, come ad esempio una promozione online o anche offline.
  7. Quanto budget? Bisogna realizzare una stima del budget per ogni azione di gamification che si vuole mettere in azione nella propria azienda, dato che il lavoro creativo deve essere remunerato nella giusta maniera prevedendo il giusto budget.

Ma questo non basta: bisogna seguire delle fasi importanti che aiuteranno l’azienda ad attuare nel migliore dei modi la strategia della gamification, ossia:

  1. Preparazione: è la fase più importante perché si definiscono i problemi da risolvere, lo scenario, i “giocatori”, gli obiettivi, i comportamenti e molto altro. In poche parole, si dà il via a tutto il processo e ogni azione scelta in questa fase avrà delle ripercussioni nelle fasi successive.
  2. Brainstorming sulle meccaniche di gioco
  3. Selezione delle meccaniche
  4. Prototipazione meccaniche
  5. Fase di test
  6. Implementazione e sviluppo
  7. Raccolta feedback
  8. Aggiustamenti
Quali vantaggi può portare la gamification?

La gamification porta in azienda molti vantaggi:

  • Aumento dell’efficacia della formazione: le persone partecipano e imparano in modo attivo al contrario delle sessioni tradizionali.
  • Nel caso di giochi di gruppo si favorisce la discussione, il confronto, incoraggiando anche l’apprendimento tra pari.
  • Nel caso di giochi individuali online o social game, la formazione si gestisce con più flessibilità e le persone imparano con i propri tempi.
  • Nel caso di serious game, ossia attività formative con modalità di gioco che hanno uno scopo didattico e educativo, si fornisce alle persone uno spazio in cui osservare diversi meccanismi personali ed interpersonali e si sperimentano delle competenze e dinamiche relazionali in un contesto leggero.
  • Non si ha più la sensazione del già visto perché si affrontano argomenti in modo nuovo e con modalità interattiva.
  • Formazione su argomenti molto tecnici e pratici con un approccio più “fun”.
In che modo migliorare la gestione delle risorse umane?

Influendo molto sul coinvolgimento, la gamification migliora di conseguenza il modo di gestire le risorse all’interno dell’azienda. Ad esempio, possiamo vedere di seguito alcune pratiche:

  • Gamification nell’atto del recruiting: premiando i candidati con riconoscimenti e vantaggi concreti per aver completato le varie fasi dalla candidatura fino all’ultimo colloquio. Questo può aiutare ad attrarre candidati motivati fin dall’inizio, velocizzando anche i tempi di integrazione in azienda, dato che i candidati saranno abituati a raggiungere obiettivi ed ottenere premi.
  • Coltivare la cultura aziendale mantenendo i dipendenti valorizzati: se i dipendenti sono impegnati e si sentono parte del team, questo aiuterà a migliorare la fidelizzazione. È importante riuscire a conservare il patrimonio dei talenti, le conoscenze, valori aziendali premiandoli con la collaborazione ai progetti o miglioramenti degli stessi, partecipazione a programmi di volontariato.
  • Motivando sempre di più i dipendenti a imparare e a partecipare alla formazione aziendale: Con lo strumento della gamification si può creare un’esperienza divertente attorno a programmi di formazione per stimolare maggiore interazione.
  • Promuovere la compilazione di documenti e altri aspetti burocratici: questo si può ottenere tramite benefits che i dipendenti riceveranno al compimento di un compito. Ad esempio, “il miglior compilatore delle note spese”, oppure “la più rapida compilazione dei moduli per l’aggiornamento dei benefits”.
  • Incentivare il riconoscimento fra colleghi e creare una rete di dati unificata: grazie all’hr gamification è possibile creare sistemi di riconoscimento tra membri dello stesso team, congratulandosi l’un l’altro per il raggiungimento di un obiettivo comune. Tutti i dati sono tracciati tramite i database, tenendo sotto controllo tutte le conoscenze dei dipendenti e dell’azienda. Le informazioni si combinano per creare una forza lavoro più efficiente, collaborativa, produttiva e motivata verso l’alto.

Concludendo, la gamification è uno strumento che funziona perché fa leva sui desideri e bisogni delle persone. Fornendo gli obiettivi da raggiungere, ricompense da guadagnare, incoraggia la competizione e all’espressione di sé all’interno della community aziendale. Il dipendente, quindi, sviluppa le proprie capacità lavorative con la possibilità di provare diverse strategie per portare a termine la missione assegnata. Anche l’apprendimento diventa più divertente, attivandolo maggiormente.

E tu, utilizzavi già la gamification in azienda?

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