Grooming bias: quando le apparenze influenzano le decisioni HR

Ti è mai capitato di avere l’impressione di vedere assegnare progetti interessanti sempre ai soliti noti? Oppure: se sei tu il responsabile della gestione delle risorse, hai fatto caso se distribuisci equamente le attività o se assegni i progetti più interessanti alle persone con cui senti maggiore allineamento?

Se per almeno uno di questi quesiti la risposta è si, probabilmente sei vittima di Grooming – una cattiva abitudine determinata da dei bias inconsapevoli che generano malumori e insoddisfazione all’interno delle organizzazioni.

Il grooming indica la tendenza, spesso inconsapevole, a riservare i progetti più interessanti o ad alta visibilità a persone considerate “più promettenti”.

In realtà può sembrare una strategia di sviluppo dei talenti, e pare piuttosto avvio dare progetti alle persone di cui ci si fida di più, ma nella pratica diventa un filtro che consolida privilegi e disuguaglianze, soffocando la possibilità di esprimere talenti.

I criteri che portano a queste scelte raramente sono trasparenti: più spesso si basano su affinità personali, percezioni soggettive o stereotipi legati a genere, età o provenienza.

Il risultato? Solo una parte del team accede a esperienze formative davvero sfidanti, mentre altri rimangono esclusi, nonostante competenze e potenziale.

Si tratta di bias inconsapevoli, non sempre attuati con razionalità, che però offuscano le opportunità dei collaboratori.

Grooming e bias inconsapevoli: cattivi suggeritori

Nel contesto aziendale si parla di bias inconsapevoli quando ci riferiamo a giudizi o preferenze che influenzano le decisioni senza che ce ne rendiamo conto.

Si tratta di schemi cognitivi che semplificano la realtà, ma spesso lo fanno a scapito dell’equità e dell’oggettività.
Se in alcuni casi i bias si manifestano in piccoli gesti quotidiani, in altri possono condizionare aspetti cruciali della vita professionale: valutazioni di performance, processi di selezione e soprattutto l’assegnazione di progetti strategici.

Le sfumature del bias: aging, beauty bias e gender bias

Il grooming si intreccia con altri pregiudizi inconsapevoli che possono condizionare la distribuzione delle opportunità.

I bias inconsapevoli con cui si macchiano le decisioni organizzative sono di vario tipo. Questi alcuni che vengono attuati più spesso tra i team:

Aging bias: la convinzione che i giovani abbiano più energie e idee innovative, o al contrario che solo chi ha più esperienza sia affidabile, può penalizzare di volta in volta una fascia d’età. L’aging bias automaticamente declassa l’attitudine ricettiva dei senior e frena le doti dei giovani che si vedono preferire colleghi più navigati.

Beauty bias: l’idea che chi è più “attraente” sia automaticamente più competente o più adatto a rappresentare l’azienda in contesti visibili. Pare superfluo parlarne in un contesto performativo come quello delle HR, ma il beauty bias esiste e viene applicato anche inconsciamente. Nel libro “Beauty Pays: Why Attractive People Are More Successful” l’economista Daniel S. Hamermesh già nel 2011 indicava come le persone più attraenti guadagnassero il 10-15% in più dei colleghi meno attraenti. E gli studi sul recruiting e le prime impressioni di fiducia e professionalità confermano i dati positivi in favore dei “belli”.

Gender bias: la tendenza a favorire inconsciamente un genere rispetto all’altro, ad esempio affidando alle donne compiti organizzativi o di supporto e agli uomini quelli più strategici. Questo bias esclude le capacità femminile, impedendo di sfondare il famoso “tetto di cristallo”- ovvero quel limite invisibile, eppure ancora molto presente, per cui alle donne, nonostante il talento, venga comunque impedito di raggiungere le posizioni apicali. In qualsiasi azienda e contesto. Ancora oggi questo determina un importante gender pay gap: in Europa, le donne guadagnano in media circa il 12% in meno degli uomini (Eurostat 2025 su dati estratti del 2023).

Questi bias, sommati, costruiscono una vera e propria barriera invisibile che limita la circolazione delle opportunità e l’equità interna.

Il grooming costa ad aziende e organizzazioni

Quando il grooming e i bias inconsapevoli guidano le scelte, l’azienda paga un prezzo alto. Si sprecano talenti, perché non tutti hanno modo di dimostrare il proprio valore; si creano frustrazione e demotivazione nei dipendenti esclusi, che percepiscono la mancanza di equità.

Questo, a lungo andare, può portare a calo di performance, riduzione dell’engagement e perfino alla perdita di professionisti validi.

Per l’organizzazione, significa rinunciare a un patrimonio di idee e prospettive diverse che potrebbero fare la differenza nei progetti più complessi.

Come superare il grooming e promuovere l’equità

Contrastare questi meccanismi non è semplice, perché i bias sono per definizione inconsci. Tuttavia, ci sono alcune strategie pratiche che possono aiutare:

  • Riconoscere i propri limiti: la consapevolezza è il primo passo. Formare manager e leader sui bias inconsapevoli è essenziale per ridurne l’impatto.
  • Definire criteri chiari, trasparenti e oggettivi: stabilire regole per l’assegnazione dei progetti (competenze richieste, obiettivi di sviluppo, rotazione dei ruoli) in modo che limitino la soggettività della scelta.
  • Alternare le opportunità: garantire che, a rotazione, tutti abbiano accesso a incarichi sfidanti e di visibilità, monitorando l’effettiva distribuzione dei progetti.
  • Monitorare e misurare: raccogliere dati sulle assegnazioni può aiutare a individuare eventuali squilibri e correggere la rotta.
  • Verificare i numeri: consolidare la bontà del nuovo operato supportando con numeri l’evidenza del cambiamento e della corretta ripartizione delle opportunità.
  • Ascoltare le richieste: assecondare le esigenze dei collaboratori può sicuramente attivare un engagement positivo all’interno dell’organizzazione.

Nella tua azienda che tipo di scelte vengono fatte? I progetti vengono distribuiti in modo equo?

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