A seguito di numerosi quesiti che ci sono pervenuti in materia, cogliamo l’occasione per riepilogare di seguito quali sono i permessi di soggiorno previsti dal D.Lgs. n. 286/1998 che consentono ai cittadini extracomunitari di instaurare un regolare rapporto di lavoro in Italia.
Permessi di soggiorno che consentono l’attività lavorativa
- per lavoro subordinato (anche stagionale) e lavoro autonomo: il permesso di soggiorno per motivi di lavoro (art. 5, comma 3-bis, D.Lgs. 286/1998) è rilasciato a seguito della stipula del contratto di soggiorno per lavoro di cui all’art. 5-bis del citato Decreto. La sua durata è quella prevista dal contratto di soggiorno e comunque non può superare:
- in relazione ad uno o più contratti di lavoro stagionale: 9 mesi;
- in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato: 1 anno;
- in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato: 2 anni.
- per attesa occupazione: l’art. 22, comma 11, del T.U. sull’immigrazione dispone che la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno legittimamente rilasciato. Tuttavia, in mancanza di una nuova occupazione, alla scadenza non potrà essere rinnovato (se non per altro valido titolo) ed il soggetto dovrà lasciare l’Italia;
- per motivi di studio e formazione o per tirocini formativi: consente lo svolgimento di lavoro subordinato, nel limite massimo di 20 ore settimanali -anche cumulabili settimanalmente- fino ad un massimo di 1040 ore lavorate annuali;
- per motivi familiari: il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, cosi come quello per assistenza ai minori e affidamento, permettono lo svolgimento di attività lavorativa come previsto dall’art. 2 del D.Lgs. n.5/2007;
- “CE per soggiornanti di lungo periodo” (ex carta di soggiorno): il permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo permette lo svolgimento di attività lavorativa subordinata o autonoma;
per richiedenti asilo politico: secondo quanto previsto dall’art. 22, D.Lgs. 142/2015, gli extracomunitari richiedenti asilo politico possono svolgere legittimamente attività lavorativa purché siano trascorsi almeno 60 giorni dalla presentazione della domanda e sempre che il procedimento di esame della domanda non sia ancora concluso. La ricevuta della domanda di asilo costituisce un permesso di soggiorno provvisorio. In tal senso si è espresso il Ministero del Lavoro con la nota n. 14751 del 26 luglio 2016, con la quale ha precisato che il termine dei 60 giorni “decorre dalla data di rilascio della ricevuta di verbalizzazione della domanda di protezione internazionale che equivale a permesso di soggiorno provvisorio”.
per motivi di protezione sussidiaria: secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 251/2007 recante norme sull’attribuzione della qualifica di “rifugiato” o di persona altrimenti “bisognosa di protezione sussidiaria internazionale”, tali soggetti possono legittimamente svolgere attività lavorativa in Italia;
per titolari di “Carta Blu UE”: possono richiedere il permesso di soggiorno con dicitura “Carta Blu Ue” i lavoratori extracomunitari altamente qualificati che intendono svolgere prestazioni lavorative retribuite per conto o sotto la direzione o il coordinamento di un’altra persona fisica o giuridica, e che possono quindi fare ingresso o soggiornare in Italia al di fuori delle quote stabilite annualmente dal Decreto flussi. Trattasi di un titolo di soggiorno specificatamente previsto per i lavoratori altamente qualificati e le cui qualifiche professionali, devono essere certificate da idonei titoli di studio e attestati di qualifica professionale rilasciati dai loro Paesi, ed aventi i requisiti per il loro riconoscimento in Italia. Il permesso di soggiorno “Carta Blu Ue” è rilasciato con durata biennale nel caso di contratto di lavoro a tempo indeterminato, o con durata pari a quella del rapporto di lavoro nei casi di rapporto di lavoro a termine;
- per residenza elettiva: il permesso di soggiorno per residenza elettiva è rilasciato agli extracomunitari che intendano stabilirsi nel nostro paese e che dimostrino di possedere risorse sufficienti a mantenersi autonomamente anche senza esercitare alcuna attività lavorativa. Il richiedente deve infatti essere in grado di dimostrare:
la disponibilità di un’abitazione da eleggere a residenza;
le proprie risorse economiche (pensioni, vitalizi, proprietà immobiliari, attività economico-commerciali o altre fonti diverse dal lavoro subordinato).
Permessi di soggiorno che non consentono l’attività lavorativa
- per motivi religiosi;
- per richiesta asilo (nei 60 giorni successivi alla formalizzazione dell’istanza di protezione internazionale);
- per minore età;
- per cure mediche;
- per attività sportiva;
- per attesa cittadinanza;
- per giustizia;
- i visti di breve durata per visita, affari, turismo e studio.
Impiego di stranieri irregolari: regime sanzionatorio
Il datore di lavoro che impieghi un lavoratore straniero sprovvisto di permesso di soggiorno (o con permesso di soggiorno che non consente lo svolgimento di attività lavorativa subordinata) è responsabile sia del reato penale di cui all’art. 22, comma 12, T.U. sull’immigrazione sia dell’illecito amministrativo di impiego di lavoratore “in nero”, con conseguente applicazione della cd. “maxisanzione”.
Infatti, mentre la sanzione penale è finalizzata a disciplinare i flussi migratori di lavoratori extracomunitari ed a contrastare l’ingresso e la permanenza di soggetti presenti clandestinamente sul territorio nazionale, la sanzione amministrativa è finalizzata al contrasto del lavoro irregolare, indipendentemente dallo status del lavoratore.
Responsabilità e controlli del datore di lavoro
Se, come abbiamo visto, è quindi assolutamente sconsigliabile avviare al lavoro un cittadino extracomunitario sprovvisto di un permesso di soggiorno (o con un permesso di soggiorno che non consente lo svolgimento di attività lavorativa subordinata), è altrettanto rilevante il problema dei lavoratori extracomunitari regolarmente assunti il cui permesso di soggiorno sia in scadenza o revocato dall’Autorità di Pubblica Sicurezza.
In caso di permesso di soggiorno in scadenza, rammentiamo che per espressa previsione normativa in fase di rinnovo il rapporto prosegue legittimamente proseguire sino a quando non vi sia un atto definitivo dell’Autorità competente che disponga il rigetto dell’istanza di rinnovo.
In fase di rinnovo è pertanto consigliabile farsi consegnare copia della ricevuta attestante la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno.
Nel caso in cui il lavoratore non consegni al datore di lavoro copia dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno ovvero consegni un’istanza dalla quale risulti la presentazione oltre il termine di 60 giorni dalla scadenza, si suggerisce -in via prudenziale, per evitare il rischio di incorrere nella violazione di cui all’art. 22, comma 12, T.U.- di disporre la sospensione degli effetti giuridici ed economici del rapporto di lavoro, sino a produzione da parte del lavoratore della documentazione comprovante l’avvenuto rinnovo.
In caso di un eventuale perdurare dell’inerzia da parte del lavoratore, la dottrina ritiene che l’omessa consegna della citata documentazione possa configurare giustificato motivo soggettivo di licenziamento.
Rimaniamo a disposizione per ogni eventuale necessità in merito.