
Rimborso al datore del cd. “Ticket licenziamento” da parte del lavoratore: sentenza n. 106 del 30 settembre 2020
Con la recente sentenza n. 106/2020 del 30 settembre u.s., il Tribunale di Udine ha sancito che l’azienda indotta a licenziare il proprio lavoratore per l’assenza continua e ingiustificata ha diritto a ottenere dal lavoratore stesso il risarcimento del danno corrispondente all’importo del cd. “Ticket NASpI” versato all’INPS.
Come è noto infatti, l’art. 2, comma 31 della Legge n. 92/2012 (cd. “Legge Fornero”) prevede l’obbligo per il datore di lavoro -nei casi di interruzione involontaria di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato- di corrispondere all’INPS un contributo, chiamato appunto “ticket NASpI” (o “ticket licenziamento”).
Secondo quanto previsto dalla circolare INPS n. 20, del 10 febbraio 2020, detto contributo per l’anno 2020 è pari a 503,30 euro (41% di 1.227,55 euro) per ogni anno di lavoro effettuato, fino ad un massimo di 3 anni (l’importo massimo del contributo è pari a 1.509,90 euro per rapporti di lavoro di durata pari o superiore a 36 mesi).
Il contributo deve essere calcolato in proporzione ai mesi di anzianità aziendale e senza operare alcuna distinzione tra tempo pieno e part-time. Infine, vanno calcolati i mesi superiori a 15 giorni: la quota mensile è pari a 41,94 euro/mese (503,30/12).
Con la sentenza qui commentata il Tribunale di Udine ha espresso la propria decisione accertando la sussistenza del credito dell’azienda per l’importo del contributo di licenziamento pagato in quanto il licenziamento era stato indotto dal comportamento omissivo del dipendente provato dalle reiterate assenze ingiustificate.
A parere del giudice è infatti da ritenersi provato che la decisione di porre fine al rapporto di lavoro è stata presa esclusivamente dal dipendente, il quale dopo aver manifestato verbalmente la volontà di risolvere il rapporto di lavoro non procedeva alla comunicazione telematica obbligatoria di dimissioni (prevista dall’articolo 26 del D.lgs. n. 151/2015), costringendo di fatto il datore di lavoro a procedere con la risoluzione del rapporto per licenziamento per giusta causa, motivato appunto dalle continue e non giustificate assenze reiterate dal lavoratore al solo fine di essere licenziato per ottenere il riconoscimento della NASpI.
Per quanto la procedura adottata dal datore di lavoro in questione sia legittima e consenta di recedere da un rapporto di lavoro ormai inesistente, per la prima volta viene contrastato il principio per il quale l’azienda e la comunità (l’INPS) debbano accollarsi:
- da un lato: l’onere di pagare un contributo (il “Ticket licenziamento”) per un inadempimento del lavoratore;
- dall’altro: un’indennità di disoccupazione (NASpI) per una risoluzione solo apparentemente involontaria ma sostanzialmente voluta e causata dal lavoratore.
Considerata la rilevanza di tale pronunzia (per la prima volta è stata accertata la sussistenza di un obiettivo non legittimo, quello di indurre il datore di lavoro al licenziamento al fine di ottenere l’indennità NASpI) e la non eccezionalità nella prassi di simili comportamenti da parte di quei lavoratori più interessati a percepire la NASPI piuttosto che a proseguire regolarmente il loro rapporto di lavoro, segnaliamo quanto segue.
In caso di prolungate e reiterate assenze da parte dei lavoratori la Vostra società potrà decidere di procedere in uno dei seguenti modi:
- avviare un procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 7 della L. 300/1970, che potrà concludersi con il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa;
- desumere dal comportamento del lavoratore la volontà di recedere dal rapporto e comunicare le dimissioni per fatti concludenti.
1. Procedimento disciplinare e licenziamento
In questo caso, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 7 della Legge n. 300/1970 nonché dal CCNL applicato, si potrà avviare un procedimento disciplinare con la contestazione delle assenze ingiustificate. Una volta ricevute le eventuali giustificazioni del lavoratore (o in mancanza delle stesse) si potrà decidere di licenziare il lavoratore per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, con conseguente pagamento del cd. “Ticket licenziamento” e con la possibilità di rivalersi in sede giudiziale contro il lavoratore stesso per il risarcimento di tale importo, per le motivazioni espresse dal Tribunale di Udine con la sentenza in commento.
2. Dimissioni per fatti concludenti
Qualora il lavoratore, seppur richiamato ufficialmente dal datore di lavoro al rispetto dei propri obblighi contrattuali, ometta di prestare servizio, tale comportamento può ravvisarsi quale manifestazione tacita di recesso unilaterale e volontario dal contratto di lavoro medesimo.
In questi casi infatti il comportamento “concludente” del lavoratore è una manifestazione tacita della sua volontà negoziale, un atteggiamento non formalizzato che tuttavia evidenzia un comportamento nei fatti inequivocabile.
La giurisprudenza ha più volte evidenziato il valore del comportamento concludente del lavoratore che deve essere verificato nella sua univocità. In particolare, con la sentenza n. 12549/2003 la Corte di Cassazione, riprendendo la propria precedente pronunzia n. 6604 del 20 maggio 2000, ha evidenziato che “qualora non sia prevista alcuna forma convenzionale per il recesso del lavoratore, la volontà di recedere può essere dallo stesso esternata, anche implicitamente, con un determinato comportamento, tale da lasciarla presumere (secondo il principio dell’affidamento), come la cessazione delle prestazioni dovute in base al rapporto, sicché l’accertamento in tal senso operato dal giudice di merito non è censurabile in cassazione se adeguatamente motivato”.
Con la più recente sentenza n. 25583 del 9 luglio 2019, la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui “il recesso volontario del prestatore di lavoro ben può essere ricavato da una mera dichiarazione o da comportamenti che palesino indubbiamente la volontà del prestatore di risolvere il contratto di lavoro. Le dimissioni del lavoratore possono, dunque – sussistendo specifiche condizioni – configurarsi anche in situazioni diverse rispetto a quelle regolate dall’articolo 26 del Dlgs 151/2015.”
In questo caso, dopo aver richiamato il lavoratore ad adempiere ai propri doveri con una formale comunicazione, il datore di lavoro potrà ritenere concludente il comportamento del lavoratore stesso e comunicare il recesso per dimissioni volontarie. In questo caso non sarà dovuto il cd. “Ticket licenziamento”.
Inoltre, tale soluzione potrebbe rivelarsi preferibile anche sotto il profilo normativo in quanto, ad esempio, alcune agevolazioni contributive sono subordinate all’assenza di licenziamenti nel periodo precedente, e inoltre non risulterebbe ostativa ad una nuova assunzione per il medesimo ruolo.
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Per tutto quanto sopra precisato, nel caso in cui la vostra società si trovi a dover gestire una reiterata assenza ingiustificata da parte di un lavoratore, si suggerisce di contattarci con tempestività al fine di valutare la soluzione più efficace.