Visibility bias: valutiamo meglio chi vediamo di più

Da quando il lavoro ibrido è entrato stabilmente nella vita aziendale, molti HR manager si trovano a gestire un paradosso: mentre la produttività si misura sempre più con i dati, la percezione del lavoro resta legata alla visibilità.


In ufficio, chi è fisicamente presente viene percepito come più impegnato, più reattivo, più “connesso”, rispetto a chi non è presente perché in smart. Nel lavoro a distanza, il contributo reale rischia di diventare invisibile.
È qui che entra in gioco il visibility bias, un effetto cognitivo che influenza le valutazioni e i percorsi di carriera.

Cosa si intende per visibility bias

Il visibility bias – o bias di prossimità – è la tendenza a giudicare più positivamente chi è “vicino”, fisicamente o digitalmente. È una forma di bias inconscio: il cervello associa la presenza alla produttività. In un contesto ibrido, chi lavora da remoto parte quindi svantaggiato: occhio non vede, risultato non premia – verrebbe da dire.
Secondo una ricerca condotta da SHRM (2024), i dati riflettono le preoccupazioni dei lavoratori da remoto riguardo all’impatto della loro mancanza di visibilità sulla carriera e sul capitale sociale.

Il 59% dei dipendenti da remoto afferma che lavorare permanentemente da remoto diminuirebbe le opportunità di networking, il 55% ritiene che soffrirebbero le relazioni lavorative, mentre il 54% pensa che servirebbe lavorare più ore per compensare la minore visibilità.


Inoltre, il 34% dei lavoratori dichiara che lavorare sempre da remoto ridurrebbe le opportunità di carriera disponibili e il 29% teme meno possibilità di sviluppo. Le donne (23%) mostrano una maggiore probabilità rispetto agli uomini (18%) di affermare che non avrebbero l’opportunità di formare relazioni di lavoro solide (fonte: SHRM.org).

Il rischio è che le aziende misurino l’impegno, non l’impatto; la disponibilità, non l’efficacia; la presenza, non la produttività.

Le conseguenze nascoste del visibility bias per le organizzazioni

Oltre al danno individuale, il visibility bias altera la cultura organizzativa. I team diventano meno collaborativi: chi è remoto tende a partecipare meno, chi è in ufficio si accolla più lavoro “visibile” pur di essere notato. Il bias si traduce in:

  • decisioni distorte di carriera, con premi e promozioni assegnati non su base meritocratica;
  • disparità di accesso alle informazioni e ai progetti: chi lavora a distanza viene coinvolto meno anche per via delle “chiacchiere da corridoio” che spesso agevolano il passaggio di informazioni.
  • disaffezione e turnover tra chi non si sente valutato per il proprio contributo reale.

Come misurare la performance in modo equo

Per contrastare il visibility bias, le funzioni HR devono spostare l’attenzione dall’osservazione alla misurazione.

  1. Definire KPI oggettivi – Stabilire indicatori chiari legati a risultati concreti (obiettivi raggiunti, qualità delle consegne, customer satisfaction).
  2. Introdurre dashboard e people analytics – Le piattaforme moderne, come Workday o Visier, permettono di analizzare performance e engagement senza basarsi sulla presenza.
  3. Formare i manager alla leadership ibrida – Un team leader deve imparare a gestire la distanza con comunicazione strutturata, feedback costanti e attenzione all’equità.
  4. Promuovere la visibilità trasparente del lavoro remoto – Creare rituali digitali (report settimanali, meeting condivisi, bacheche di obiettivi) che rendano tangibile il lavoro di tutti.
  5. Monitorare gli effetti del bias nel tempo – Confrontare tassi di promozione, bonus e turnover tra lavoratori remoti e in presenza per individuare eventuali gap.

Facendolo è importante evitare lo stress da monitoraggio eccessivo, bilanciando e rendendo chiari obiettivi e aspettative di performance. 

Come è facile intuire, la cultura data-driven è la migliore alleata contro i bias cognitivi: quando le decisioni HR sono basate su evidenze e non su percezioni, la diversità di contesto smette di essere una minaccia e diventa un vantaggio competitivo. 

L’importanza della leadership e della fiducia nei visibility bias

Nessun software elimina da solo i pregiudizi. Serve una leadership capace di riconoscere il valore dell’autonomia e di creare fiducia organizzativa. Nei modelli ibridi, la leadership si misura non su chi controlla, ma su chi ispira e coordina.
Programmi di formazione sul unconscious bias e momenti di confronto tra team leader aiutano a sviluppare consapevolezza. Le aziende più avanzate inseriscono obiettivi di “inclusive leadership” nei sistemi premianti, collegando equità e performance manageriale.

Costruire una cultura della performance nei team ibridi

Un sistema di valutazione equo è la base di una cultura sana. Per costruirlo, l’HR deve diventare architetto di un nuovo equilibrio: meno gerarchia, più trasparenza; meno presenza fisica, più risultati misurabili; meno impressioni, più fiducia nei dati.
Le aziende che adottano questo approccio riducono il rischio di turnover e migliorano la produttività complessiva.


Il futuro della performance non sarà “vedere per credere”, ma “misurare per capire”. In un mondo del lavoro distribuito, saper valutare in modo equo chi non è sotto gli occhi di tutti diventa una delle vere competenze strategiche dell’HR moderno.

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