Hustle Culture vs Quiet Quitting: straordinari si o straordinari no?

Quante volte ti sei fermato in ufficio per finire un progetto? Quante volte hai detto di no ad una cena fra amici perché dovevi lavorare?

Questo fenomeno si chiama “Hustle Culture” (o anche detto stacanovismo) ossia lavorare senza sosta per poter ambire ad avere sempre di più, dove il lavoro diventa la parte più importante della propria vita. È quella corsa frenetica verso il successo, mettendo la carriera avanti a tutto e tutti, senza lasciare spazio alla vita personale, al tempo libero e alla salute mentale.

A volte è un comportamento involontario perché appunto si tende a voler portare a termine dei progetti, rispettare le scadenze, non dando peso alla vita privata ed entrando in un loop da dove è difficile uscirne.

Per chi segue questa filosofia è importante seguire alcuni valori, per loro fondamentali. Vediamo insieme quali sono:

  • La vita personale ho meno valore del lavoro che è la parte più importante;
  • Si considerano come “perdenti” coloro che non dedicano la loro vita al lavoro;
  • L’ambizione lavorativa è messa prima della realizzazione personale;
  • Lavorare più del dovuto viene considerato un mezzo per ottenere riconoscimenti in termini di eroismo di fronte alla società;
  • La vita privata non deve assolutamente interferire con il lavoro;
  • Tutto ciò che viene considerato come una distrazione dal lavoro deve essere abolito, come hobby, relazioni, prole e tempo libero.

Il lavorare troppo a cosa porta?

Questo fenomeno tirato per le lunghe può essere davvero dannoso per l’essere umano avendo delle ricadute negative sulla propria vita sociale e anche sulla salute. Infatti, si parla di burnout sul lavoro: sindrome associata alle troppe ore di lavoro che induce l’individuo a carichi di stress, ansia, attacchi di panico e si rischia anche di soffrire di depressione.

Perché accade ciò? È tutto legato al nostro cervello: lo stesso, avendo dei ritmi così intesi, non riuscirà mai a ricaricarsi per bene durante le ore di sonno perché non abituato a riposarsi. È come se andasse in sovraccarico e non riuscisse più a recuperare le risorse mentali per affrontare il nuovo giorno.

Lo stacanovista tende, di solito, a rimandare le pause e a preferire la caffeina per aumentare la produttività, ma non sempre le performance sono le migliori. Questo anche perché se si aumentano le prestazioni lavorative, si andranno ad aumentare anche i carichi di lavoro e questo porterà a un lavoro più pesante diminuendo così anche il proprio rendimento per lo stress emotivo.

Lavorare troppo non è l’unico problema degli stacanovisti ma troviamo anche:

  • Non riuscire a non pensare al lavoro a livello sia fisico che mentale;
  • Non riuscire a mantenere sotto controllo il sistema nervoso ed elaborando diversamente lo stress, andando a discapito della propria integrità fisica;
  • Non prendersi il tempo necessario per recuperare la stanchezza.

L’ideale sarebbe infatti quello di prendersi delle pause, staccare nel tempo libero, non essere costantemente in pensiero per il lavoro e godersi un po’ la vita al di fuori dell’ufficio.

Come venire in soccorso ai lavoratori stacanovisti?

Di fronte a queste casistiche, l’azienda non deve far finta di niente o addirittura incoraggiare questo comportamento, perché a lungo andare non porta dei benefici ma l’opposto.

In questo, il reparto delle risorse umane deve entrare in soccorso ai dipendenti. Può aiutarli in questo modo:

  • Aiutarli nell’assegnare priorità alle attività quotidiane;
  • Non incoraggiarli a portare il lavoro a casa;
  • Creare un ambiente di lavoro che promuova l’equilibrio tra vita privata e lavoro, incentivando attività fisica, socialità, ferie pagate e il bisogno di trascorrere il tempo libero con famiglia e amici;
  • Spingerli ad effettuare delle pause durante la giornata, utilizzando quel tempo per prendersi cura della propria persona mettendo da parte per un attimo il lavoro;
  • Sviluppare un ambiente collaborativo offrendo ai dipendenti la possibilità di delegare il lavoro, a comunicare con i propri supervisori e colleghi e definire dei paletti per limitare eventuali distrazioni,
  • Se un membro si trova in difficoltà, spronarlo a chiedere aiuto.

“Quiet Quitting”: come opporsi alla “Hustle culture” oggi

Negli anni ci sono stati diversi modi di dimostrare disappunto per questo fenomeno, come le “Grandi Dimissioni”, fino ad arrivare a un nuovo fenomeno spopolato sui social chiamato “quiet quitting”.

È un fenomeno che si collega alle grandi dimissioni poiché vede i lavoratori lasciare il proprio lavoro per dare importanza al benessere personale. Al contrario però il quiet quitting rappresenta “l’abbandono silenzioso”: ossia lavorare, ma non troppo. Il concetto è quello di lavorare ma senza fare più straordinari, fare solamente le attività prestabilite nel contratto senza andare oltre.

Una vera e propria opposizione al fenomeno della Hustle culture.

È un nuovo modo di concepire il lavoro che mette al centro di tutto il benessere psicofisico del dipendente, dando più importanza al tempo libero, alla famiglia, alla cura del proprio io interiore.

Le generazioni che abbracciano questo fenomeno sono maggiormente i Millenials e la GenZ, le quali non sono più disposti a lavorare fino allo sfinimento e anche perché solo in pochi si ritengono davvero soddisfatti del proprio lavoro, come dimostra uno studio realizzato da Gallup “State of the goal workplace 2022”. Questo studio comprova infatti che:

  • il 33% dei dipendenti si considera inserito in una condizione di crescita e di benessere;
  • il 44% sostiene di essere stressato e ritiene il proprio lavoro demotivante;
  • il 14% dei lavoratori dichiara di essere coinvolto nel proprio mestiere;
  • il 9% è entusiasta di quello che fa.

Questi numeri dimostrano come il coinvolgimento e la soddisfazione di datori di lavoro tra la GenZ è diminuita. Tutto questo è stato scaturito dalla pandemia, vedendo molti giovani licenziarsi per poter dare maggior spazio al loro benessere personale.

Come deve essere gestito il fenomeno del “Quiet Quitting”?

Il fenomeno può essere contrastato: l’importante è riuscire a trovare un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata, tracciando dei confini che non bisogna superare per non ricadere nel burnout dovuto dal troppo lavoro dato dalla Hustle Culture.

Tra le soluzioni più importanti c’è il dialogo. Quest’ultimo aiuta i manager a mantenere un dialogo aperto, costante e costruttivo con feedback per mantenere i livelli di engagement alti e così i lavoratori si sentiranno a loro volta veramente parte dell’organizzazione.

La definizione degli obiettivi in ottica di prospettiva di crescita è l’ulteriore prova che serve a rendere grate le persone e ad affrontare le ore di lavoro con più motivazione e coinvolgimento.

“Hustle Culture” o “Quiet Quitting”?

Entrambi i fenomeni possono essere visti come degli svantaggi per l’azienda o per il singolo individuo. Ma per ottenere dei vantaggi la soluzione più adatta è quella di trovare il giusto equilibrio tra vita privata e lavoro, cercando di gestire il tutto in maniera più bilanciata.

La risposta corretta esiste? Lavorare per vivere è sempre giusto per poter sopravvivere ma l’importante è che non si trasformi in un “vivere per lavorare”, perché il lavoro deve riuscire a lasciare lo spazio per godersi il proprio tempo libero, dedicandosi alla famiglia, amici e hobbies.

È infatti sempre importante ricordarsi che la vita è una e che a volte bisogna fermarsi un attimo e godersi il proprio tempo.

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